27 luglio 2010

Il rifiuto ideologico

"Goooooooooooooollll"
Un urlo squarciò la relativa tranquillità di quella notte novembrina.
Erano le dieci e mezza di una domenica sera come tante, la città si coricava per trovare le energie necessaria ad affrontare una nuova settimana di attività.
Dal bar dello sport uscivano grida e fumo, la miscela perfetta per decine di sportivi incalliti, fanatici del pallone, come da tradizione italiota.
"Hai visto che razza di gol ha fatto la punta? Una cosa incredibile! Un tiro di collo , spalle alla porta, in mezza girata, che finisce all'incrocio dei pali?
Imparate da lui sfigati che non siete altro! Ahahahahhahahahah!"
Marco, che i suoi amici soprannominavano ironicamente "Stupidinio" per la sua ostinata accondiscenzenza, per il suo tentativo quotidiano di farsi apprezzare dalla società con frasi ad effetto demagoghe e populiste,
non riusciva a trattenersi. D'altronde come biasimarlo? Era la stracittadina, una delle partite più sentite dai calciofili della città.
"Ed ora state sotto e zitti, perdenti!!! Siamo primi ve ne rendete conto!?!??! Primi!!!!!! Alla faccia vostra ladri maledetti! Voi ed i vostri dirigenti corrotti prendetevela nel didietro!"
Faceva sempre così, quando la partita era importante, decisiva: in caso di gol dava puntualmente in escandescenze.
"Lory, non dici nulla? Aiutami a prendere in giro questa feccia!"
Lorenzo, da tutti battezzato "Santicchio" per via della sua balbuzie che non sapeva controllare, lo guardava perplesso: felice certo, ma estremamente imbarazzato. Faceva sempre così quando aveva la possibilità di
bearsi della propria felicità a scapito di quella altrui: se solo si azzardava ad esprimere un qualche concetto positivo nei suoi confronti prendeva a balbettare senza sosta, ed alla fine vi rinunciava mestamente, consentendo al
suo passato di dominarne il presente ed inevitabilmente il futuro.
"Stai calmo Marco, non ab-abbiamo ancora vinto la partita. Rilassati e vedi di non portare sfiga, che questi son dei maledetti, po-po-potrebbero pareggiare nell'arco di un minuto...."
"Ecco, il solito portasfiga del cazzo abbiamo qui! Possibile che ogni volta che siamo in vantaggio devi sempre sminuire tutto quello che facciamo? E che cazzo Lory, ma vaffanculo una buona volta!"
Giacomo non seppe trattenersi. Conosciuto da tutti come "Gutturnio" per via della sua vanità, del suo stupido vizio di dare estrema importanza all'aspetto fisico piuttosto che alla bellezza interiore, non era
certo l'uomo più colloquiale e diplomatico presente in quel bar. Bello e spietato, Giacomo odiava quell'abituale atteggiamento verso la vita che Lory, a suo modo di vedere, continuava erroneamente ad applicare. Non sopportava quel balbettio continuo, segno di debolezza, macchia indelebile destinata a rovinare l'immagine di quel suo amico a cui, comunque, voleva un gran bene.
"Stai zitto per favore, stai zitto! Se devi dir stronzate e metterci tre quarti d'ora oltretutto per pronunciarle facci la cortesia di stare almeno in silenzio! Cazzo!"
Lorenzo subì come sempre il colpo: ferito nell'orgoglio e nella già esigua autostima, non seppe reagire a quelle frasi ingiuriose ed irrispettose. Decise di chiudersi ancor più in se stesso, continuando a vedere la partita facendo bene
attenzione di commentare il meno possibile, per evitare altri giudizi negativi nei suoi riguardi.
"Smettila Giacomo, lascialo stare. Lo sai che ha le sue idee, non mi pare il caso però di aggredirlo in questo modo!" Stranamente Marco si oppose al comportamento tenuto da Giacomo, lui che cercava sempre di farsi
apprezzare da tutti andando incontro a gusti, costumi, idee che altri possedevano e che lui si limitava ad appoggiare e in alcuni casi addirittura idolatrare.
"Te vedi di star zitto coglione! Dobbiamo festeggiare, mancano un paio di minuti alla fine della partita e stiamo dominando! E vieni a farmi storie per questo pirla qui? Ma fottiti!"
Era la classica domenica calcistica, con insulti, sberleffi, esultanze, momenti di tensione. Amavano vivere quelle giornate al bar, a seguire la squadra del cuore che li accomunava.
La partita finì ed i tre, entusiasti per la vittoria, decisero di fermarsi a vedere il dopopartita, le sintesi degli altri match del pomeriggio, le interviste.
Sullo schermo apparve la conduttrice del programma sportivo: donna affascinante, alta, capelli castano chiaro, probabilmente una quinta di reggiseno, occhi azzurri in cui affogare ed un portamento che potrei definire quasi regale.
I commenti spinti non tardarono ad arrivare.
"Ecco vedi la Tamara? Lei si che è una figa da paura! Non vi verrebbe voglia di trombarvela un giorno si e l'altro pure? Lory,sveglia! Non ne avresti voglia, cazzo?"
"Ce-certo che mi piacerebbe Giacomo, co-come potrebbe non pia-pia-piacermi?"
"Ed allora dillo e fatti sentire, brutta checca isterica schizzata"
Scoppiò in una risata divertita. Marco rise un po' imbarazzato.
Anche Lory rise, ma per semplice sottomissione.
"Effettivamente è una cavalla di prima categoria! Con una così farei davvero i salti mortali!" esclamò Marco tutto eccitato.
"Quella li caro mio non la vedrai mai nel tuo letto se non la copri di regali, gioielli, festini e quant'altro. A quel punto però sarà praticamente la tua vacca da monta personale! Aahhahahahahah!"
Una risata generale coinvolse tutti i presenti, nessuno escluso.


"Ciao ragazzi"
Una voce giunse dal retro del bar, tutti si volsero avendo riconosciuto a chi apparten


.....


Tirai un pugno rabbioso sulla scrivania, facendo ribaltare il portapenne posizionato vicino al monitor del pc.
"Porca troia" pensai tra me e me. Non ce la facevo più. Ero esausto.
Salvai lo scritto cliccando sull'iconcina a forma di dischetto con il mouse e spensi il monitor per dirigermi poi in cucina: presi del latte dal frigo e lo versai in un bicchiere, che presi in mano poco prima di sedermi sulla sedia di fronte a me.
Mi misi una mano sulla fronte, quasi a coprirmi gli occhi dalla vergogna. Quel lavoro faceva chiaramente schifo, non mi piaceva, non era ispirato, trattava argomenti futili e banali. Non era quello ciò di cui volevo scrivere, decantare
le gesta, approfondire lo studio.
No. Quella era semplice merda. Era immondizia.
Poi osservai il frigo desolatamente povero di vivande.
"Vaffanculo editore di merda! Te e le tue 100.000 copie minime da vendere. Fanculo, fanculo, FANCULO!!!!!!"
Non riuscivo a calmarmi tanta era la rabbia che provavo nei confronti di chi provvedeva a fornirmi uno stipendio e garantirmi dei diritti retribuiti sulle mie "opere".
"Ma come posso definirle opere? Questa è semplicissima spazzatura.."
Lo sconforto mi penetrò dentro l'animo con la forza di una folla animata dalla paura ed il terrore. Ero uno scrittore, realizzare racconti era la mia passione.
"Ma questo genere di racconti sono a dir poco mortificanti! Io veramente non comprendo come la gente possa leggersi e spendere soldi per delle idiozie del genere..." sussurrai a denti stretti, mentre la rabbia cresceva dentro di me.
La mia casa editrice non era una delle piu' famose, aveva bisogno di vendere per poter crescere ovviamente, e vendere al giorno d'oggi significa una sola cosa: dare alla gente ciò che la gente desidera.
Fin qui sarebbe anche accettabile. Ma se poi pensiamo a cosa la gente desidera.. analizziamolo un secondo.. programmi di intrattenimento in tv, reality, sport di vario genere, concerti musicali, commedie di bassa lega con personaggi
di spicco, ed ancora riviste di gossip, di cronaca nera, di qualsiasi aggeggio hi-tech presente sul mercato, libri di fantascienza, thriller dal contenuto emotivo decisamente povero ma intensi dal punto di vista del ritmo dell'azione, romanzi gialli: insomma,
normale intrattenimento. E poi libri su libri di comici più o meno famosi, che trascrivono su carta ciò che raccontano in televisione, e spesso si tratta di un semplice "copia-incolla" infarcito di battutacce ed immagini di
dubbio gusto.
In questo mare di mediocrità poi ci sono i libri che trattano dello sport "più bello del mondo", il calcio.
Ecco, questo mi era stato chiesto di scrivere. Un libro che potesse far sentire importanti tutti i tifosi del nostro beneamato paese, che venisse letto da tutti i calciofili incalliti e di conseguenza
potesse vendere "milioni di copie".
Questo si riassumeva nel raccontare le avventure di tre ragazzi appassionati di pallone, belle donne, denaro e festini. Insomma, ciò che la società attuale sembra desiderare più di qualunque altra cosa.


"Ma io non sono così, anche volendo, anche sforzandomi non riesco ad immedesimarmi nelle loro superficiali passioni. Io ero cresciuto leggendo maestri del calibro di Montale, di Pirandello, di Pasolini,
di Moravia: eroi contemporanei che hanno saputo regalare al nostro paese opere di indubbio valore letterario e significato emovito-emozionale."
Avevo sempre sognato di emularne le gesta, anche in minima parte, per questo motivo iniziai a scrivere opere psicologiche, drammatiche, esistenziali. Trattavo tutto ciò che mi accomunava a
questi maestri indiscussi: la voglia di analizzare noi stessi e la società in cui viviamo, non assecondandola pietosamente bensì criticandola saggiamente, nella speranza di trarre da questo tipo di
studio nuovi spunti per migliorarci, per crescere, per vivere meglio.
Custodisco ancora gelosamente e con orgoglio quei brevi racconti, quei piccoli saggi farciti quà e là da aforismi di vario genere, che solevo scrivere nelle tante serate solitarie che vivevo da ragazzo,
alle volte ispirato da un paesaggio mozzafiato, altre volte da un evento atmosferico rilevante, altre ancora da semplici sentimenti personali.
Più scrivevo e più miglioravo, più miglioravo e più accrescevo la mia autostima e di conseguenza il mio benessere interiore.


Ad un certo punto decisi di farlo diventare un lavoro. E quello era il risultato: per vivere non potevo scrivere ciò che io ritenevo interessante, ma ciò che mi dicevano di creare. Per vendere. Per ottenere pubblicità
in cambio.
Ma spiegatemi voi, chi desidererebbe la fama grazie a libri così scadenti, poco profondi, insulsi ma tanto city-style? In molti vero? Ecco, io no.
Io non voglio più piegarmi al volere dei miei superiori, che a loro volta si piegano al volere del mercato.
Il mercato.
Poteva essere il mio miglior amico, è diventato la mia nemesi.
"Ma adesso basta.
Questo "lavoro" sarà l'ultimo che accetterò di scrivere seguendo queste assurde regole. Da domani voglio impormi, scrivere cose di rilievo che mi facciano esser sereno con me stesso, soddisfatto del lavoro svolto!
E per farlo devo assolutamente informare la gente.
Scriverò un racconto di protesta, di denuncia! Ecco cosa potrei fare!
Criticherò il sistema, e grazie alla pubblicazione sul giornale riuscirò a farmi leggere da più persone possibile! In fondo il direttore di un noto quotidiano nazionale è un mio stretto parente,
non mi rifiuterà il favore, tanto più che potrebbe farsi indirettamente una grande pubblicità.Si, questa sarà la mia grande occasione, finalmente potrò rinnegare questo schifoso sistema letterario e riuscirò
a portare agli occhi della gente argomenti interessanti, profondi, sorretto dal lavoro dei grandi che mi hanno preceduto!


Si! Questa sarà la mia rinascita, lo sento!!!!"




Uscii dall'appartamento e mi diressi in strada, avevo una gran fame e visto che il frigo era vuoto pensai che una pizza mi avrebbe fatto bene.
Ancora eccitato per la decisione presa cominciai a correre in direzione della pizzeria che distava due isolati da casa mia.


Vidi sull'altro lato della strada Stefano, il mio caro amico d'infanzia.
"Ciao Ste! STEEEEEEE! Mi senti!?!? STE!!!!"
Mi voltai, la luce dei fari di quell'auto mi abbagliò totalmente, sentii un fortissimo dolore allo stomaco.


.....


"Ecco, queste son le prime pagine di "Il rifiuto ideologico"."
"Facciamo un bell'applauso ad Andrea ed il suo nuovo romanzo che, vi ricordo, sarà in tutte le librerie a partire dal mese di febbraio! Vuoi dire qualcos'altro ai nostri telespettatori prima di salutarci?"
"Si, innanzitutto li ringrazio per l'appoggio ed il sostegno che mi hanno dato in questi anni, sapere di avere tanti fan delle mie opere è una sensazione straordinaria! E poi cos'altro posso dire.. vi aspetto
in libreria! Eheheh!"
"Salutiamo allora Andrea ed il suo nuovo romanzo "Il rifiuto ideologico", da febbrario nelle migliori librerie d'italia"


Faceva freddo quella sera, il cappotto che avevo indossato non era abbastanza pesante evidentemente, ed uscire dagli studi televisivi fu un vero e proprio trauma. Mi diressi verso la macchina pieno di pensieri.
"Venderò abbastanza copie?" "Deluderò forse i miei fans?"
Erano quesiti secondari in realtà. Entrai in macchina e l'accesi, attivai il riscaldamento, inserii la sicura e chiusi gli occhi.
"Quello scrittore ed il suo sfogo, la sua sopportazione al limite, quanto sono diverso in realtà da lui? Potrò forse ingannare i telespettatori, ma non posso prendere in giro me stesso.
Mi ricordo quando possedevo ancora quegli ideali, quando non ero spinto solo dal guadagno "facile" e la pubblicità mediatica. Rimembro quelle sensazioni, un po' sinceramente mi mancano.
Ma cosa mai potrei fare?
Questo mondo è comandato dal denaro, viviamo per produrre. Pensare di ribellarsi a questo sistema, anche solo nel mio ambito letterario è un qualcosa di semplicemente assurdo.
Non ci sono possibilità di riuscirci, ed anche mettesi a conoscenza il mondo del mio pensiero, cosa cambierebbe?
Nulla.
L'editoria fa le veci del mercato. Io devo far le veci dell'editoria. E' un circolo vizioso, un cane che si morde la coda."
Presi dalla tasca dei jeans il mio portafogli e lo aprii, c'erano tre banconote da cento euro ed un paio da venti.
Osservai quel denaro.
"In fondo il dilemma è semplice, o seguo le mie idee, o seguo una vita di successi economici e sociali. In fondo vivo benissimo, sono ricco, ho una bella moglie e due splendide figlie. Cosa potrei voler di più dalla vita?
D'accordo, faccio ciò che mi dicono senza seguire pedissiquamente i miei desideri, ma posso forse biasimarmi? Non credo proprio!"
Rimisi il portafoglio in tasca ed avviai l'auto. Percorrendo la strada verso casa incappai in un dosso che fece sobbalzare il mio nuovo libro che avevo appoggiato sul sedile del passeggero: si aprì, ed io lo osservai.
E' vero, avevo tutto ciò che volevo dalla vita: fama, successo, soldi, donne, sesso, affetto. Non mi mancava nulla.
Eppure in fondo ero felice che quello scrittore, di cui narravo le gesta, non si fosse piegato al volere della società in cui viveva. Lui perseguì i suoi ideali fregandosene di tutto il resto.
Credeva in ciò che faceva e non voleva che nessuno potesse rovinarlo.
Certo, la metafora dell'auto che lo investe, che rappresenta la società non disposta ad accettare la sua presa di posizione e che per questo lo elimina, è forte ed onestamente ne vado tremendamente fiero.
Perchè quell'evento lo renderà un martire. Perchè quell'evento lo renderà un eroe indimenticabile.

Il nostro eroe.
Il mio eroe.


Dio quanto vorrei essere come lui.






Andrea Bidin

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