27 luglio 2010

Senza titolo

“Davvero non ce la faccio più, sono stanco di vederti così apatico ed assente. Forse tu te ne freghi semplicemente, ma per chi vive accanto a te tutto ciò è deprimente e quasi offensivo.”

“Ed ascoltami quando ti parlo, cazzo!”

Lorenzo urlò con tutta la rabbia ed il nervosismo che aveva in corpo, talmente forte che le corde vocali presero a bruciargli quasi istantaneamente.

“Mi vuoi spiegare cosa diavolo ti è successo? Da quando hai accettato quel lavoro da magazziniere non sei più lo stesso! Qual'è il problema? Ti fa schifo quest'impiego? Non vuoi più farlo? Di qualcosa, non restare in silenzio come al solito!”

Andrea non rispose a quelle domande, ma continuò ad osservarlo con fare quasi indisponente, lo sguardo velato e perso nel vuoto di chi non ha nulla più da chiedere alla vita.

“Fammi capire questa cosa. Sono mesi ormai che ti rechi tutti i giorni in quel capannone di merda per impacchettare, imbustare, etichettare e chissà cos'altro farai li dentro per dieci ore al giorno. I tuoi colleghi ti giudicano e ti infamano quasi tutti i giorni, e non dirmi che non è vero, li ho sentiti distintamente più e più volte nei giorni in cui ti son venuto a prendere con la macchina”. E te cosa fai? Non ti ribelli? Non agisci in qualche maniera? Lasci che gli altri ti calpestino in malo modo e senza il minimo rispetto per la tua persona. Ti pare un comportamento sensato questo?.

Andrea non rispose.

“Cosa credi, che la tua apparente indifferenza in qualche modo li ferisca? Questa è gente che mangia pane e merda da una vita, non vedono l'ora di aver qualcuno da poter mettere sotto i loro piedi, abituati come sono stati a sopportare le peggiori angherie dai loro superiori per anni ed anni. Non puoi davvero esser così illuso da pensare che questo atteggiamento possa in qualche modo scalfirli. Merda! Non riesco davvero ad accettare questo tuo modo d'essere. Cos'è, ti credi superiore a loro? Oppure sei davvero caduto così in basso da non aver più alcun interesse per te stesso? Io non posso e non voglio credere ad un'eventualità del genere.”

Continuava ad osservarlo senza alcun tipo di espressione facciale, insulso, inutile, sembrava quasi ridotto in stato vegetativo.

Lorenzo tirò il bicchiere che conteneva il suo brandy a terra, preso dallo sconforto e da un principio di rassegnazione.

“Credimi, questo modo di fare non ti aiuterà per niente, ben presto ti renderai conto d'esser caduto in un circolo vizioso. Non ti garantirà nemmeno la sopravvivenza, fidati di ciò che ti dico.

Se continuerai ad ignorarli, lasciando che ti feriscano dentro in questo modo, finirai col distruggerti totalmente. Ed anche quell'unicità di pensiero che son sicuro tu voglia perseguire con questo atteggiamento non sarà valsa la sofferenza che quegli esseri saranno in grado di farti provare. Devi ritrovare un minimo d'orgoglio, un qualche stimolo che possa tirarti fuori da questo pozzo senza fondo.

Non puoi continuare così, non puoi.”

Lorenzo rimase in silenzio per un paio di minuti, senza che Andrea dicesse o facesse nulla. Solo un sospiro malamente celato gli fece capire che era ancora in se.

“Prima o poi ne uscirai pazzo, perderai quel poco di lucidità che spero tu ancora possieda, ed a quel punto non ne verrai più fuori. L'oblio che ti circonderà sarà più forte di qualunque fonte di luce, sarà la fine. E la pazzia sarà la tua nuova famiglia.”




Pareva esser davvero il discorso conclusivo, fatto da una persona che mi voleva un bene incredibile e che non sapeva più a che santo votarsi. Ma tutto quel suo darsi da fare mi faceva solamente tenerezza. Dici che la pazzia si impossesserà di me?

E davvero te ne preoccupi? Forse non ti è ben chiara una cosa: non appena l'alcol nel mio corpo me lo permetterà, prenderò in mano il bicchiere che ho appoggiato sul tavolo pochi minuti fa, lo riempirò di scotch e me lo berrò tutto d'un fiato. E come per incanto le tue parole svaniranno dalla mia mente: riprenderò ad affrontare quel vuoto interiore che ormai da troppo tempo non mi fa più vivere.

Che la solitudine torni ad essere la mia morfina.










Andrea Bidin

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