Il frastuono del vento che sbatte violentemente contro ogni cosa trovi sul suo cammino è difficile da sopportare: troppo forte è lo spavento che stò provando e che mi attanaglia lo stomaco come una morsa d'acciaio restia a mollare la presa. Ho paura di guardare fuori dalla finestra di casa mia e comprendere cosa diavolo stia accadendo, ho il terrore di accorgermi che tutto possa esser stato spazzato via dall'irruenza di quel fenomeno naturale tanto affascinante quanto pericoloso, ho paura di rendermi conto di non aver via di scampo. Ma qualcosa devo pur fare, non posso restarmene inerme seduto sulla mia poltrona mentre tutto ciò che mi circonda sembra venir inghiottito via dalla forza della natura, che sembra quasi essersi stancata delle malefatte dell'uomo e voglia così vendicarsi di anni di soprusi ed ingiustizie.
Alzandomi dalla poltrona, sento tutta la fatica dei muscoli in evidente tensione per quanto stà accadendo e ,per fortuna, la volontà di non cedere è più forte della paura che invade il mio corpo, e riesco quindi ad avvicinarmi alla porta di casa: decido infatti di uscire direttamente e pormi al cospetto della furia naturale che richiede la presenza di tutti noi, colpevoli, di fronte a lei ed al suo giudizio irrevocabile. Portandomi fuori dall'uscio di casa, lo spettacolo è inquietante: la pioggia battente sembra esser una cascata in piena, come se lassù qualcuno stesse rovesciando letterali "secchiate" d'acqua sulla nostra terra, con una foga ed una rabbia assolutamente fuori dal comune. Il vento è in questo momento meno forte di prima, ma sufficientemente potente dal rendermi difficoltosa la camminata verso l'esterno. Il paese sembra esser deserto, come se mai avesse conosciuto forme di vita oltre alla mia.
Quando con la coda dell'occhio vedo crollare tegole, dai tetti vicini, comincio istintivamente a correre, più veloce che posso, e decido di dirigermi verso la cima del monte che ospita il paese nel quale abito e che costeggia da un lato il mare e dall'altro una pianura ricca di cittadine rigogliose ed attive. La paura dona alle mie gambe una velocità di movimento ed una potenza di spinta a me fin'ora sconosciute, ed il dover evitare tutti gli oggetti, i rami, gli ostacoli generati dalla furia di quella tempesta, mi ricorda l'agilità di cui ho potuto godere nel periodo adolescenziale della mia vita. Tutto intorno a me è distrutto, il cielo scuro nonostante fosse mezzogiorno è minaccioso quanto indifferente a ciò che stà accadendo sotto di lui: più mi avvicino alla cima del monte e più forte sembrano essere i fenomeni naturali che stanno mettendo a dura prova il mio fisico e la mia psiche.
Quando finalmente raggiungo il punto più alto, lo spettacolo che mi si para d'innanzi è raccapricciante: una tromba d'aria stà seminando morte e devastazione nelle cittadine che coprono la pianura di fronte a me: sento in lontananza l'agghiacciante rumore di sirene d'emergenza, che sembrano quasi essere un'ode disperata e di preghiera alla natura, perchè smetta ciò che stà mettendo in atto; riesco a vedere nonostante la confusione e la distanza, file di macchine che cercando di fuggire da quel luogo, gente che corre senza avere una meta , persone spinte dal terrore e dal panico.
In un momento di lucidità decido di attivare la radio presente nel mio cellulare, ed infilando le cuffie nelle orecchie riesco faticosamente a sentire l'edizione speciale del giornale radio, secondo il quale quanto stà accadendo interessa gran parte del territorio nazionale, ed i soccorsi non sembrano esser sufficienti a tamponare i danni che si stanno via via generando. Nonostante l'impegno e la professionalità profusi, il giornalista non riesce a nascondere quel tremolio che accompagna la sua voce così come, immagino, tutto il suo corpo: e grazie a questo dettaglio capisco che questa volta potrebbe davvero esser finita.
Decido di spegnere il cellulare, ed assistere con terribile impotenza a quanto stà accadendo. E mentre i miei occhi si posano su questo e su quel particolare, con una tranquillità ed una lentezza regalatemi dal senso d'abbattimento e rassegnazione che mi domina, comincio a pensare ed a comprendere quanto tutto questo possa davvero esser causa nostra. La violenza dei fenomeni è tale da farmi credere che in qualche modo ce lo siamo meritati, che tutta l'irresponsabilità con la quale abbiamo agito sulla terra che ci ospita in qualche modo si stà riflettendo su di noi; è come se la natura ci stesse parlando e ci volesse far capire che non ne può più e che per istinto di sopravvivenza si trova costretta a fare tutto ciò, a fermare le nostre mani spinte da intenzioni senza scrupoli, pronte a danneggiare irrimediabilmente quanto ci circonda e ci è stato offerto; vuole insomma farci capire che tutto ciò sia colpa nostra ed oramai inevitabile.
Decido di alzarmi, avvicinarmi il più possibile all'orlo del dirupo che si estende sotto i miei piedi ed, impassibile, osservare fino alla fine quanto stà accadendo.
Facendo ciò capisco che, se riuscirò a sopravvivere a tutto questo, sarà solo ed unicamente perchè la natura avrà voluto affidarmi il compito di proteggerla, di difenderla dai miei simili e dalle assurdità che fino ad oggi hanno spinto l'uomo a fare ciò che purtroppo a fatto, e che adesso stà pagando a caro, carissimo prezzo.
Ed allora chiudo gli occhi e con l'acqua che scorre sul mio viso,
non potendo spegnere altro senso se non la vista, decido di ascoltare ed aspettare sperando che tutto questo finisca il più tardi possibile, perchè tutto ciò non venga dimenticato ed il significato di tale tragedia venga appreso da tutti coloro che, in futuro, vorranno ancora sfidare il mondo che ci ospita.
E la paura mi abbandona.
Andrea Bidin
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