27 luglio 2010

Ho sempre amato odiare il Sole

Comincia sempre così la mattina. Con il tappetino del bagno a fissarmi, mentre mi rilasso con la mia cagata mattutina. Un tappetino verde, sporco e sfilacciato che mi guarda e mi chiede che senso ha alzarsi prima di mezzogiorno e affrontare il mondo. Un tappetino che mi chiede quale sia il senso del mondo e della mia vita; a volte penso che la risposta risieda nella cagata stessa, ma forse è meglio non pensarci. Mi alzai e ascoltando la sinfonia angelica dello sciacquone mi tirai su i pantaloni, armeggiando pigramente con la cintura.

Mi preparai ed uscii per andare a comprarmi il giornale. Un raggio di sole colpì i miei occhi intorpiditi dal sonno e dalla sbornia non ancora mandata giù del tutto, assalendomi con dolore e scatenandomi un conato di vomito e di rifiuto. Il mondo è cattivo. Il mondo ti prende sempre il culo. Adora farlo. Abbassai gli occhi come uno scarafaggio impaurito e balbettante, e cominciai a muovermi lentamente lungo il vialetto. Un giorno – pensai – quella palla infuocata ci brucerà tutti e – per dio - sarà davvero una giornata niente male. Almeno, smetteremo di abbassare gli occhi. I cadaveri – si sa – fissano sempre il cielo, con un sorriso di stupida eloquenza stampato sulle labbra.

La mattinata intanto stava andando come al solito, senza grosse novità. I soliti quattro ubriachi al baretto, brutte facce che passavano per la strada, prostitute che – finito il loro turno – aspettavano alla fermata del bus, tristezza nascosta per adattarsi alla gioiosa luce del dì, sigaretta fumate e poi uccise, caffè trangugiati come elisir di vita e morte. Il giornalaio mi aspettava come il mio personale Caronte, unico lusso del mio inferno quotidiano.

Scelsi un giornale a caso. Non mi importa più di tanto, solitamente. Mi basta dare l’impressione di essere intelligente, ma chissà perché non funziona mai. Solo a leggere la prima pagina mi viene da ridere, e non fa molto da intelligenti ridere a un titolo che dice pressappoco: “Famiglia morta ammazzata”. Al massimo fa da figli di puttana, ma non ho neanche il coraggio di essere quello, figurarsi l’intelligenza. Feci finta di leggermi il mio ammasso di carta straccia, sotto l’aroma di caffè e dolore e circondato da bestemmie ridenti. Così passano le mie domeniche mattina. Alla fine mi alzai e me ne andai, per fare una bella passeggiata al sole.

Di lì a poco distava un campo abbandonato. Decisi di andare a farmi un giro.

Mi tolsi la giacca mentre camminavo. Ero lì, solo e con me stesso, a ragionare su cosa fare per tirare sera, quando vidi una dolce famigliola intenta a ridere e mangiare. Era una famiglia davvero bella e toccante. Erano lì, stesi sull’erba verde, su una tovaglia rossa che aveva la profondità della bellezza e su cui erano disposti – come doni venuti dal cielo – dolci e pietanze di ogni tipo. Avevano una bambina bellissima, coi capelli del colore del bronzo, che si divertiva a far volare l’aquilone. Ma in me non suscitavano niente.

Sentivo piuttosto l’orrore. L’orrore per quello che sarebbero diventati. L’orrore per quei corpi di carne, così impudentemente svelati e stuprati dalla luce solare, costretti a costruirsi una maschera di svilente vita nel tentativo di combattere la depressione incalzante del deperimento. Chi mi assicurava che quel dolce maritino non andasse a puttane, che non si facesse succhiare il cazzo da Jacqueline, il trans della strada dietro casa mia? E quei bambini? Che futuro avrebbero avuto quei bambini? Sono sempre loro che ci andavano di mezzo, sono sempre i bambini - gli innocenti - a pagare. Ma esistono davvero innocenti? Continuai a camminare, fissando gli impietosi steli dell’erba, che mi parevano tante spine su cui si era tutti costretti a danzare sino all’infinito, in un vortice di carne e follia. Sono cresciuti nutrendosi della merda e dei cadaveri, e succhieranno anche la nostra stessa linfa vitale, la nostra merda. Siamo tutti vacche grasse e tutto il nostro progresso servirà solo a farci divorare dalla natura.
Amen.

La bambina mi sorrise. Me la immaginai vecchia. Senza denti, con le tette mosce, abbandonata, umiliata, lasciata a morire con i propri sogni irrealizzati. Il mondo era davvero per i figli di puttana. Per i credenti. Per quelli con una via d’uscita sicura, per quelli con l’assicurazione sanitaria, per quelli che si accontentavano di certezze. Certezze. La gente che non ha queste certezze solitamente è distrutta; senza speranza. Senza niente, se non la voglia di andare avanti impetuosamente e levando i pugni, infrangendo tutti i limiti e sfidando glacialmente il silenzio della notte. Determinati, pazzi, incazzati o tutto insieme. Sì, tutto insieme. Voi avrete visto gente simile, con quegli occhi di un ghiaccio bollente, con quell’espressione sorridente e al contempo coraggiosa; li riconosci subito. Sanno di essere dei falliti dell'esistenza, di non avere il biglietto dei Credenti, dei Sicuri. Ma non si arrendono mai. Ne avrete viste tante, di quelle facce.
Io ho visto la mia.

Chissà che fine farà quella ragazzina. Vivrà senza pensieri, fottendosene della miseria e della disperazione, e quando avrà un brutto pensiero lo affogherà in simpatie politiche o certezze smontabili e garantite. E continuavo a starmene lì, a immaginare di una vita e a rendermi conto della follia della mia, dell’impetuo traboccare del mio essere, del mio danzare incessante. E il tempo passava, passava, passava. Passava lento, come la merda trascinata sulla cristallina e rilucente acqua di un fiume.

E improvvisamente divenni sereno. Lieto. Avevo capito. In questa campagna nera di sole, ogni passo che faremo la disperazione rimarrà disperazione. Il mondo esploderà in un fragore di mille stelle e canti, i nostri corpi morti daranno vita e linfa a quei giocosi fiori blu belli come gli occhi del Cielo, i giorni passeranno e noi moriremo tutti in una soave e continua apocalisse dei corpi. C'è così tanta bellezza in questo mondo senza Dèi Bastardi e senza Ragione-Ultima-Del-Mio-Caz
zo, così tanta che nessuno riuscirà mai ad abbracciarla, a capirla, ad amarla; fatti spezzare e distruggere dal mondo se vuoi vivere per un solo attimo e ancora, e ancora, e ancora.

Poi sono tornato a casa e ho scritto questo racconto e ho pensato che le giornate di sole mi mettono sempre di cattivo umore.

E voi che ci fate ancora qui?

Finirete per scottarvi.
A meno che non siate delle fottute lucertole a sangue freddo.

In tal caso, meglio per voi. Meno sofferenza.
Ma meno divertimento.



Michele Dubini

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