29 luglio 2010

Il Consumismo della Croce

Non mi accanirò più di tanto su un argomento che è stato in lungo e in largo trattato, sviscerato, analizzato. Deturpato, stuprato. Troppe volte. Ma tuttavia ritengo l’eterno nodo della laicità uno delle prove più balzanti del totale e deprimente fallimento ideologico di questa presunta destra. Anzi: ritengo la Croce il fallimento di un intero popolo, lacerato e bruttato definitivamente dagli influssi malefici dei valori dell’anticultura e della televisione. Non posso fare a meno di levare la mia puerile voce nel denunciare questo dolore. L’ostentazione della Croce – a conti fatti - non è che un voyeurismo depravante e deplorevole; un monito assai calzante per il Medioevo (dove, non di rado, le Croci erano incise sull’elsa della Spade) o in grandissima parte del Novecento, dove l’ignoranza dilagante necessitava di un simbolo trascendentale e non-criticabile. Un velo di autorità non squarciabile, dove ogni domanda è rigorosamente vietata dal sacer che avvolge la Croce, come un sottile ma inequivocabile Velo di Maya.

Oggi, un popolo normale – conscio della propria cultura e della propria dignità - rimetterebbe la Croce nei luoghi a lei adibiti; e dirò di più: non lo farebbe tanto per “rifiuto religioso”, quanto per rispetto alla sacralità e all’importanza del simbolo stesso.

Se vogliamo dare un taglio politico alla faccenda, il crocefisso è uno (se non il) dei smascheramenti definitivi a una destra liberale che di liberal possiede unicamente l’invettiva (ma cafona e troglodita) e lo sfarzo degli ultimi Imperatori Romani (che davanti all’avanzare del decadimento spendevano sesterzi in vino e puttane). Questo fallimento è – tristemente – di matrice generazionale e mi porta quindi a pensare che nulla muterà, nel futuro: una destra liberal-ghibellina non è mai esistita, in Italia. Non c’è mai stata una Cultura che permettesse il nascere di una consapevolezza nazionale (ma non nazionalistica) e identitaria (ma non fascista): una vera Destra, insomma. L’unica espressione di destra – in Italia - fu la rozzezza animalesca del fascismo e il doppiopetto “Dio-Patria-Famiglia” di Almirante e camicie nere appresso, che scandalizzerebbe e farebbe orrore a ogni Conservatore degno di tale titolo. Non ho mai nutrito grandi speranze nei partiti attuali che osano definirsi di “destra”, i quali hanno fatto proprie posizioni etiche clerical-consumistiche che delegittimano – di fatto – l’intero Parlamento. Non sarebbe sbagliato parlare di un Golpe dove una “materia” viene decisa al di fuori dei rami istituzionali e sulla base di decisioni prescrittive e riguardanti la dimensione interiore di alcuni individui.

La colpa è come sempre - nostra. In verità, la laicità non è mai stata tradita perché è stata rifiutata a priori; la laicità è – e rimarrà – un concetto da elite, da intellettuali; la gente, la massa, il popolo non conosce la laicità. Per loro non è mai esistita perché non gli interessa conoscerla. Con tutti gli effetti terribili e devastanti che questa scelta comporta. Per coloro che invece si interrogano, che vogliono porre queste assillanti domande e che non vogliono certezze asettiche (e sono queste le elite a cui mi rivolgo), la laicità è un qualcosa di vivo e costante. Il Paese è dunque spaccato in due; le “elite” che si rivolgono ad una laicità “europea”, disponibile quanto ferma, e una massa ondeggiante – violenta, rozza e superficiale – che preferisce non porsi nemmeno il problema; la popolazione è dunque catturata da un oblio costante; un rintontimento colpevole quanto inevitabile.

Questa società – lo ripeto - per non farsi le domande, ha voluto nascondere gli interrogativi stessi; la televisioni e tutti i mezzi del consumismo hanno intrappolato e distrutto le coscienze particolari e le opinioni dei singoli, concretizzando o un conformismo terribile ed agghiacciante. Qualcosa che nemmeno il fascismo era riuscito a raggiungere. In questo sono fermamente e tenacemente dalla parte di Pasolini quand’egli afferma “Non c’è nulla di più terribile della banalissima televisione”. Allo stesso modo, quando parla della civiltà dei consumi. Oggi – a 30 anni di distanza – mi rendo terribilmente conto che il punto di non-ritorno è stato ampiamente ed abbondantemente superato.

Il consumismo ha colpito il crocefisso in modo inequivocabile. Negarlo sarebbe ridicolo; troviamo il volto del Cristo ovunque: croci di legno, plastica, metallo, nickel, alluminio, ferro. La religione è venduta ed esposta, come la merce al supermercato; perché questo? Cosa spinge a mostrare con una così sottile ferocia la sofferenza della Croce (facendola passare per “sofferenza misericordiosa”. Il Cristo non aveva nulla di misericordioso nella sua sofferenza. Soffriva. E basta. E il suo desiderio non era quello di essere ricordato per il suo dolore)?

La risposta è terribilmente semplice; il Cristianesimo è come gli Indiani d’America. Sperduto, annichilito, piegato, spezzato. Il mondo quotidiano del consumismo ha esportato un modello di Uomo e di Donna che – pur andando la domenica a messa (in macchina) – non ha di che preoccuparsi di Dio. L’Italiano – fedele alla religione del consumare – ha capito da mezzo secolo di poter vivere senza Dio; il che sarebbe positivo, se solo egli riuscisse a prendere atto della sua piena dignità e della sua potenzialità, del suo slancio vitale. Invece di piegarsi alla nuova religione del Dio Consumo. Ma per tornare all’argomento originario, la Chiesa è agonizzante; sono sempre più convinto che tutti – in cuor loro – siano consci di questa ovvietà; Benedetto XVI lo sa, ovviamente. Ogni volta che parla, indossa la tragica maschera della comica menzogna, e cerca (nascondendo sotto una patina di oro e sacralità una disperazione lacerante) di evocare le ombre del primo Novecento (basti pensare a suoi agghiaccianti e insensibili proclami sull’omosessualità), quasi a riportare in auge un clima in cui la Chiesa ha – e naturalmente, aggiungo io – dominato a mani basse. Ma oggi questo schema non può più funzionare.

La società italiana è riuscita a prendere il peggio della laicité e del consumismo, creando dei veri mostri. Invece di rimuovere il Crocefisso dai muri e consacrare se stessi come “Uomini” nel senso più umanistico e orgoglioso del termine, hanno preferito rifuggire questa possibilità come gli scarafaggi rifuggono la luce del sole. Siamo e rimarremo una terra di infanti, affamati, ladri, bigotti, corrotti; l’Assurda dicotomia sacro-profano che la Croce stessa rappresenta ne è la più grande testimonianza. Sia chiaro: non sarò certo io a formulare una difesa della Croce o della Chiesa. Il piegarsi davanti alla Croce rappresenta un insulto verso la vita. Significa rinunciare alla Vita e sacrificare l’esistenza in nome di un’altra esistenza; è un rigetto costante e agghiacciante della propria “potenza” di vita, un'immersione luttuosa e sconsolante nei fumi stordenti della consolazione esistenziale.

Ma ancora più insultante è l’abuso di un simbolo che – per sua natura – deve essere esposto solo nei luoghi adibiti. Per rispetto a coloro che desiderano inginocchiarsi. La dimensione in cui muovo questo tipo di protesta è tutto fuorché anticlericale (anzi). E – lo ripeto – sono coloro che urlano e strepitano paonazzi in difesa della Croce che dovrebbero essere in prima fila in questa battaglia; non gli atei.

Ma purtroppo c’è chi confonde il termine “cristiano” con il termine “cattolico” o che – ancor peggio – antepongono il secondo al primo.





Michele Dubini

1 commento:

  1. è un rigetto costante e agghiacciante della propria “potenza” di vita, un'immersione luttuosa e sconsolante nei fumi stordenti della consolazione esistenziale.

    "sante" parole

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