27 luglio 2010

La fiera degli specchi

Urla.
Grida.
Chiassoso divertimento.
Un paese in fermento.
Una giornata diversa dalle altre.
Gente che si riversa a fiumi in strada e nelle piazze.
Musica che accompagna momenti di giubilo e svago.

La fiera degli specchi.

Circondato da tanta cordialità, che non riconosco, che non comprendo, che non riesco ad osservare durante la settimana tra quelle stesse persone che oggi ne fanno il proprio canto di battaglia.
Un bambino gioca col pallone e , calciandolo con foga ed imprecisione fanciullesca colpiscela mia gmba: lo osservo, prendo in mano quell'oggetto dei sogni e lo ridò al bimbo che si mostra un poco imbarazzato per quanto accaduto. Vive nel sogno, spinto dal desiderio di un futuro entusiasmante, non sarò io a fermare quella sua fantasia.
Nel bar ci sono i vecchi che così tanto avrebbero da raccontare se solo ci fosse qualcuno disposto ad ascoltarli. Tra sberleffi tipicamente regionali ed insulti in dialetto si sfidano a carte con la passione e l'agonismo della loro mai dimenticata gioventu.
Una mamma culla il suo bambino cercando di calmarlo: il chiasso della festa non gli permette di raggiungere lo scopo, stà solo perdendo tempo.
Le bancarelle piene di oggetti, dolci, prodotti tipici del luogo ed abbigliamento occupano gran parte dello spazio, contribuendo alla confusione generale della piazza e delle vie interessate dal ritrovo.
Osservando in cielo vedo gli aquiloni sventolare, controllati da fanciulli concentrati e divertiti dalla situazione.
Mi guardo intorno spaesato.
Perchè durante la settimana tutto questo non c'è? Perchè durante questa domenica di festa son tutti così gioviali e disponibili? Perchè mi risulta tutto così asettico, così poco familiare?
Mi siedo sulla prima panchina che trovo, affianco ad una signora intenta a dialogare tramite telefono cellulare con quello che, a quanto ho capito, dovrebbe essere suo figlio.
Prendo in mano il mio blocco note che tenevo nella tasca dei pantaloni, ed estraggo una penna dal giubbotto. Comincio a scrivere, ed a riflettere.

E' la voglia di non pensare a rendere tutti così cordiali e disponibili verso il prossimo? I problemi che durante la settimana li assillano non gli permettono di esser liberi e sereni, minando di conseguenza i loro rapporti interpersonali?
E' un tentativo di redenzione per i propri "peccati", o meglio, per cercar di lenire i propri sensi di colpa? Possibile che tutto ciò che di orrido, subdolo, meschino possono aver fatto durante la settimana sia così semplicemente rimovibile dall'animo, dalla mente, dal cuore?
Si tratta di semplice ipocrisia? Tante persone con maschere che gli permettono di dialogare e fingere, illudere, ingannare? Che sia questo lo scopo?
E' semplicemente dovuto al divertimento legato al ritrovo generale, alla festa, alle pur semplici attrazioni presenti? Una voglia fanciullesca di svagarsi e gioire anche per le piccole ed apparentemente futili cose?
E' la voglia di apparire, di mostrarsi, di farsi pubblicità con chi quotidianamente ci circonda? E' vanitoso desiderio di piacere a se stessi e soprattutto a chi ci stà intorno?
E' un tentativo di procurarsi nuovi clienti, nuovi fornitori, nuovi collaboratori in ambito lavorativo, portando la propria occupazione professionale in piazza, ove tutti possono osservarla tramite il suo principale artefice? Marketing ed advertising a basso costo?

Probabilmente si tratta semplicemente della commedia umana. E' il trionfo della morale unita in questo caso al triviale. E' un turbinio di ansia, angoscia, paranoia, ira, nervosismo, egoismo, ossessione: emozioni spaventose ed allo stesso tempo familiari, sopite in onore di una causa maggiore: l'apparire, il non essere se stessi.
Mi sembra di vederle quelle sensazioni, mi sembra di percepirle visivamente, come delle ombre che sovrastano le persone, come macigni sulle spalle che gli appesantiscono esistenza rendendo ancor più difficile fingere il giubilo e la serenità. Dev'essere un lavoro improbo. Come diavolo faranno ad accettare tutto questo? Dove troveranno questa forza? Forse che l'illusione di poter apparire diversi da se stessi almeno per un giorno infonda loro energie insospettabili?

Chiudo il blocco e rimetto il tappo alla penna. Non c'è interesse, non c'è desiderio, non c'è scopo che valga la pena perseguire, non c'è attrattiva. Ci sono solo immagine ed accondiscendenza: invadono tutto e tutti come un mare in tempesta.
Mi alzo dalla panchina mettendomi in cammino.

E nella folla mi perdo.

La fiera degli specchi.









Andrea Bidin

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