27 luglio 2010

La cerchia del silenzio

Sono uno psicologo, ascolto nei pensieri dei miei pazienti ciòche la loro voce non racconta.

Parlo con Maria, una ragazza che ha tradito il proprio uomodopo anni di convivenza dando retta al proprio istinto animale. Un collega dilavoro ha saputo conquistarla attirandola a se con tutta la propria mascolinitàe lei non ha saputo resistere al richiamo della carne. Ma quando mi parla,quando si sfoga con me, Maria addossa ogni colpa al suo fidanzato, incolpandolodi trascurarla, di non farla sentire amata, di esser sempre poco disponibile. Il mio studio su di lei ha messo alla lucealtre verità di cui dovrei parlarle: per esempio vorrei cercare di farle capireche alla base di quella relazione difficoltosa c’è un sentimento che lei stessanon ha mai ritenuto abbastanza grande da permetterle di vivere serenamente ilrapporto di coppia. Vorrebbe amore quando è lei stessa a non offrirne. Quandoglielo faccio notare Maria si stizzisce ed all’improvviso smette di parlare. Ilsilenzio piomba su di lei e son costretto a cambiare discorso. E’ una ragazzadifficile, a tratti molto egoista ed autoritaria, che vorrebbe ricevere più diciò che offre, e si inalbera quando questo non si verifica. Come si possa stareassieme ad una persona del genere lo capisco grazie ai miei studi, ma non loconcepisco se penso alla mia filosofia di vita.

Parlo con Stefano, un uomo sulla quarantina che picchiaviolentemente la moglie ogni volta che torna a casa da lavoro, e percepiscequesto come un atto dovuto nei suoi confronti. La sua compagna Clara a quantopare è possessiva ed asfissiante, col suo amore eccessivo gli toglie ilrespiro. Dopo un’attenta analisi dei racconti, degli sfoghi, delle confessionidel mio paziente mi rendo conto che alla base di queste violenze c’è un odiocelato nei confronti della propria madre, rea di aver lei stessa fin da giovanecostretto dentro il proprio amore ossessivo il suo bambino, privandolo dellalibertà fanciullesca portatrice di gioia e soprattutto nuove conoscenze. Nell’osservareStefano inorridisco, perché non concepisco atti di violenza nei confronti diuna donna: non nego di aver avuto molta difficoltà ad accettare questo incaricolavorativo, avrei fatto qualunque cosa per evitarlo, per cercare di non aiutareuna persona del genere. Non ero interessato alle sue motivazioni , alle giustificazioni, allespiegazioni. Provavo solo ribrezzo. Il giorno in cui gli feci notare questiaspetti da lui volutamente celati, Stefano non seppe far altro che rimanere insilenzio con lo sguardo rivolto verso il muro.

Parlo con Mirko, un quattordicenne di belle speranze chefrappone gli ottimi voti scolastici ad un comportamento “bestiale” con lapropria famiglia ed i propri coetanei. Ribelle, maleducato, irriverente efortemente aggressivo, non accetta alcuna imposizione “dall’alto” e pretende diessere indipendente nonostante la giovane età e l’inevitabile inesperienza. Nelsuo caso si tratta indubbiamente di rifiuto d’affetto, riconducibile alleangherie subite nell’infanzia. I genitori lo trattavano con disprezzo, non glidavano alcun tipo di conforto e, peggio ancora, alcun tipo di sostegno moraleed emotivo. Mirko non vuole parlare, non vuole ammettere tutto questosemplicemente perché il ricordo gli reca molto, troppo dolore. Io quelragazzino non riesco a farmelo piacere, nonostante le sfortune che ha dovutoaffrontare nell’arco della sua breve vita: indisponente ed a tratti dispotico,non ha alcunché di gioviale nel suo carattere, niente che lo faccia risultaresimpatico a chi se lo trova di fronte. Scappa dai problemi invece di affrontarlie questo, in virtù forse dell’indottrinamento che ho affrontato durante imiei studi, non mi è assolutamente concepibile dal punto di vista umano: ècomprensibile solo ed unicamente nell’ambito clinico. Anche Mirko oppone ilsilenzio ad ogni mio tentativo di scardinare questa sua autodifesa straripante.

Questi sono forse i casi più particolari dal punto di vistaemotivo, o quantomeno quelli che più hanno impegnato fino ad un mese fa. Sonopersone difficili da affrontare , e quel loro atteggiamento di difesa durante l’analisi psicologica delle loro figure è un qualcosa che non riesco davvero a tollerare.Il silenzio di chi fugge, di chi scappa, di chi con ostinazione evita con tuttose stesso di addentrarsi nella difficoltà per affrontarla e sconfiggerla. Un’ostinataarrendevolezza che li porterà solo al fallimento.

Ora non seguo più questi pazienti, ho fatto richiesta all’ospedaledi fargli assegnare un altro mio collega. Non ce la facevo più ad affrontarli,non ero più in grado di aiutarli.

Vi state chiedendo il perché abbia preso una decisione delgenere? Per una volta siate voi adanalizzare me!



Sono uno psicologo, ascolto nei pensieri dei miei pazienti ciòche la loro voce non racconta.

Ma alla fine, senza che me ne rendessi conto, il silenzio hainvaso pure me.




Andrea Bidin

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