27 luglio 2010

L'ordine irragionevole

Entrai sbattendo violentemente la porta. Stefania, mia moglie, mi osservò basita dalla cucina dove stava preparando la cena: non era abiutata a veder certe reazioni che solitamente celavo dentro di me, dietro una maschera di serenità e felicità alle volte sinceramente insostenibile. Il massimo che le permettevo di notare era un nervosismo tenuto a bada ed un'apatia purtroppo contagiante. Buttai in terra la borsa che mi accompagnava nelle giornate lavorative e salii velocemente le scale che portano alle camere da letto del primo piano. La nostra casa era una villetta come tante, con al piano inferiore cucina, salotto, bagni ed ufficio personale, mentre il piano superiore era adibito a "zona notte" con camere da letto e bagni: una piccola scala a scomparsa poi permetteva di salire in mansarda che avevamo reso abitabile con divani, tv, una piccola libreria ed un cucinotto.
Procedetti iracondo verso la nostra camera matrimoniale deciso a sdraiarmi sul letto per qualche minuto e sfogare tutto il nervosismo che avevo accumulato in ufficio. Purtroppo per me, quando entrai, lui era lì e puntava su di me il suo sguardo indagatore: sapevo che avrebbe espresso commenti e giudizi sul mio comportamento e su quanto lo aveva scatenato, e la sola idea mi faceva letteralmente impazzire. Feci un paio di passi nella sua direzione, e quando mi trovai a più o meno un metro di distanza, imprecai soronamente.
"Perchè mi giudichi? Perchè mi osservi? Sò benissimo quello che ti passa nella testa, maledetto bastardo!" furono le prime parole che uscirono dalla mia rovente bocca, colma di rabbia ed insofferenza. Lui non mi rispondeva, gesticolava solo con foga come ad accompagnare un qualche pensiero al quale non sapeva probabilmente associare parole adatte. Osservai il suo silenzio colmo di giudizio e sdegno nei miei confronti, un atteggiamento quasi irriverente che accresceva ulteriormente la mia rabbia interiore.
"E' facile giudicare standosene fuori ad osservare imparziali, da persone non coinvolte e quindi non condizionate! E lo so, lo so che non ti interessano queste mie frasi, ormai ti conosco, so benissimo che queste mie accuse non ti fanno ne caldo ne freddo e come al solito provocheranno come reazione massima un tuo mezzo sorriso a dir poco ironico nei miei confronti! Eppure mi pare di avertelo detto ormai più volte: non riesco sempre e comunque a tornare a casa dimenticandomi di tutte le ansie, le preoccupazioni, i problemi ed i nervosismi che certe giornate lavorative mi fanno obbligatoriamente vivere! Non ce la faccio! Tu nella mia stessa situazione faresti altrettanto! Vivo costretto in un mondo che non voglio, un ambiente che mi infonde nient'altro che rabbia: non potrei che sentirmi così!"
Quasi mi stupii dell'intensità del mio sfogo, in genere con lui avevo toni molto più pacati , ma in un certo senso mi vergognavo all'idea di esternare in quella maniera le mie preoccupazioni, io, che son sempre riuscito a nascondere quasi tutto, io, che permetto alla mia famiglia di vivere felicemente tenendola sotto quella che ho intimamente soprannominato "palla di vetro", io che anche quando son nervoso dissimulo in ogni situazione e con ogni mezzo la mia difficoltà stavò sfogandomi in quella maniera con quel tizio, quel soggetto, che rappresentava tutto ciò che non ero e dunque invidiavo da morire.
"Mi sento in colpa, terribilmente in colpa!" Dissi a voce più bassa per cercare di non attirare ulteriormente l'attenzione di mia moglie, passeggiai nervosamente lungo lo stretto corridoio che si trovava tra il letto matrimoniale ed il grosso mobile in mogano adibito a guardaroba. "Non riesco a sopportare l'ipocrisia e la falistà, ed a lavoro son circondato da persone che fanno di queste "qualità" le loro migliori virtù. Ti rendi conto? Io che amo la schiettezza e l'onesta, specialmente con la mia famiglia, devo vivere tutti i giorni in un ambiente che non mi rispecchia! Io non lo sopporto più, non voglio più accettarlo, farmelo bastare, cazzo!"
L'uomo continuava ad osservarmi incessantemente, ogni tanto lo vedevo compiere qualche gesto inconsulto che non riuscivo proprio a decifrare: più volte lo vidi cercar di dire qualcosa, apriva la bocca per poi però rimanere in silenzio. Che rabbia.
"In che cosa sbaglio, eh? Dimmelo tu, mio giudice così ligio al suo lavoro. Dimmi te cosa posso fare per cambiare, per cercar di migliorare queste persone in errore, che non comprendono ciò che sono e perchè lo sono."
Un attimo di sconforto susseguente a questa frase tolse energie al mio corpo, costringendomi a sedere sul lato inferiore del letto. Ero spossato, la giornata era stata molto dura e quel delirio era forse ancor più faticoso: mi mancavano le forze, mi sentivo inerme di fronte a lui, che non mi concedeva il suo consiglio, che non mi dava il suo sostegno, che non era mio complice silenzioso ma consapevole antagonista mai domo.
"E' questo il motivo per cui poi torno a casa nervoso ed arrabbiato. E' inutile che mi si venga ad incolpare per tale atteggiamento: dubito che qualcuno sia in grado di comprendere ciò che stò vivendo, ciò che sto affrontando da qualche mese a questa parte. Mi sento a disagio, non coinvolto in una comunità irrinunciabile, a confronto loro paio un alieno." Ero sincero nel dire quelle cose, nell'esternare quei miei pensieri: per la prima volta accettai ufficialmente l'insofferenza che mi attanagliava ormai da qualche tempo, e la convivenza con essa che era tutt'altro che semplice.
Improvvisamente mi sentii strano e vivo.


E poi li vidi.


Quegli occhi accusatori improvvisamente mi comunicarono qualcosa.


Ipocrisia, falsità, demagogia, pregiudizio, illusione. Venivo accusato di tutto questo da loro, che nulla fanno se non osservare, che riflettono semplicemente quell'io di cui ero consapevole ma che tenevo volutamente nascosto nei meandri più bui della mia psiche, non volendoci avere nulla a che fare, temendolo, vergognandomene da morire.


Non parlavano ma li sentivo distintamente: "sei esattamente come gli altri, commetti i loro stessi errori ed insultandoli e giudicandoli stai indirettamente agendo su di te, ti stai prendendo in giro, stai vivendo una becera illusione".


A quel punto anche i miei occhi si aprirono sulla realtà.
Il pugno rimase sospeso nell'aria per un paio di secondi, giusto il tempo di raggiungere con violenza quell'uomo che ormai odiavo quasi più di me stesso. Solo a quel punto mi resi conto che non era più rabbia quella che provavo nei suoi confronti: erano disillusione, gratitudine, ammirazione, mi aveva aperto gli occhi. Ci fu un fortissimo rumore di vetro andato in frantumi, frammenti che volavano ovunque e dovetti ripararmi il viso per non rischiare di venir colpito agli occhi. Rimasi in piedi ad osservare lo specchio distrutto, senza dire nulla, avvolto nei miei pensieri, voltai lo sguardo verso la porta che dava sul corridoio: Stefania era li ad osservarmi e mi sorpresi nel non vederla intimorita. Rimase in silenzio rivolgendomi un mezzo sorriso, e solo a quel punto disse: "adesso tesoro raccogli tutto ciò che stasera hai distrutto di te stesso: da domani inizia una nuova vita.. giusto?"
Ricordai perchè l'avevo sposata. Rimasi ancora in piedi in silenzio, e questa volta erano la gioia e la stima personale a farmi rimanere in quello stato all'apparenza inebetito. Mi ero sentito finalmente padrone di me e consapevole di ciò che non volevo essere. Era la base su cui poggiarmi per costruire un nuovo io, più vicino a quelli che sono i miei ideali: non sarebbe stato un lavoro facile ma quella sensazione di benessere non l'avevo mai provata prima. Non avevo più paura di me stesso, avevo finito di abiurarmi. E da quel giorno cerco quotidianamente di scoprirmi sempre un po' di più, agendo con la ragione nel tentativo di non commettere quegli errori ambigui e dannosi che avevo commesso in passato. Volevo essere io. Volevo accettare finalmente me stesso. La comprensione altrui sarebbe venuta di conseguenza.
Le ultime energie abbandonarono il mio corpo. Quasi senza voce esclamai "Ti amo Stefi!" e, spossato, mi lascia cadere sul letto alle mie spalle.




Andrea Bidin

Nessun commento:

Posta un commento

lo staff di laveritafamale ti ringrazia infinitamente per il tempo concessogli