27 luglio 2010

Le fiamme della vergogna

A morte! A morte!
L'urlo mi giunse distintamente mentre facevo gli ultimi acquisti dal pescivendolo del mercato. Misi in tasca il portamonete di stoffa che mia moglie
mi regalò in occasione del nostro ultimo anniversario. Non eravamo una famiglia ricca, ma quei piccoli gesti d'amore valevan più d'ogni moneta.
Mi affrettai tra la folla a raggiungere l'origine di quell'urlo disumano, che man mano si faceva sempre più intenso ed acuto. Osservavo la gente raccolta affianco alle bancarelle mentre chiacchierava del più e del meno, apparentemente serena, inspiegabilmente sorda a quel richiamo per me
irresistibile.
Una stretta all'avambraccio destro mi fece voltare di scatto: era Giulio, che mi indico un angolo appartato della via e mi chiese di seguirlo. Un senso d'angoscia mi colse inaspettatamente, quel comportamento così insolito era per me fin troppo ansiogeno. Passammo dietro un tavolo con sopra esposte cianfrusaglie d'ogni tipo, e ci trovammo nel luogo stabilito.
Con una mano a coprir le labbra Giulio si avvicinò lesto al mio orecchio destro:


"stanno per far fuori Stella, dobbiamo sbrigarci"


Ormai quel "stanno per" era diventato un incubo per me. Sebbene nei modi sia stata una sorpresa, nei termini del discorso quell'evento era fin troppo usuale. La caccia alle streghe produceva sempre più vittime tra le mie conoscenze di sesso femminile.
Ero un assiduo frequentatore dei bordelli della città, in particolar modo di quello gestito proprio dalla leggiadra Stella, che conoscevo da tempo ed aveva sempre avuto un attenzione particolare per quei miei bisogni "fisiologici" irrinunciabili. Quell'attività da lei gestita era splendida, uno dei miei pochi veri svaghi, e le ragazze che ci lavoravano dentro erano assolutamente squisite, dolci, educate e per bene.
Ma facevano le prostitute. E questo alle menti moraliste ed indottrinate dalla Chiesa non andava bene. Sarebbe meglio dire che alle mogli dei cristiani non andavano bene, perchè dei mariti in quelle piazze gremite di gente urlante "A morte! A morte!" non vi era quasi traccia.


Giulio mi risvegliò da quei miei pensieri indicandomi la via da seguire per raggiungere il più in fretta possibile la piazza del rogo. Ascoltando le sue parole di speranza, era chiaro come volesse inventarsi qualcosa per poter salvare Stella.
La proprietaria del bordello. Del mio bordello. Sarebbe meglio dire della mia salvezza.
Ma cosa potevamo fare? Ascoltare quelle parole piene di vana fiducia mi aveva fatto quasi sorridere. Protestare in mezzo alla folla era impossibile sia a causa del frastuono emesso da quella mandria d'ignoranti intolleranti, sia perchè agli occhi di colui che avrebbe appiccato il fuoco, e soprattutto di coloro che avevano deciso quelle azioni punitive, non eravamo nessuno.
Come prender parola dunque? Evidentemente non c'erano possibilità.
Ma Giulio non volle sentir ragioni e mi trascinò a forza, prendendomi per il polso, verso il suo obbiettivo. Il nostro obbiettivo. Che io, per un momento, fui quasi tentato di dimenticare, di ignorare, tanto era doloroso il senso d'impotenza che stavo provando.


Raggiungemmo la piazza dopo circa dieci minuti di corsa spasmodica. La folla era in delirio, aizzata da un individuo a me ben conosciuto. Era Eritreo, un popolano qualsiasi, forte sostenitore di quella caccia assurda ed ingiustificata, che ad ogni "evento" soleva salir sul palco dello spettacolo, girare due volte attorno alla vittima legata al palo e circondata di legna da ardere e sterpaglia, e poi declamare frasi e concetti di un'idiozia tale che non riuscii quasi mai ad ascoltarli con attenzione, tanto era il disgusto per quelle parole prive di significato, spinte dall'odio, dalla paura, dall'intolleranza estrema, mi suscitavano. E' come se tutte queste persone sapessero d'essere in torto nel giudicare in quella maniera quella povera donna, eppure non prestavano ascolto, non permettevano udienza, seguivano il marasma totale della folla spegnendo completamente le proprie suppongo innate abilità di giudizio. Questo era forse ciò che più mi colpiva ed infastidiva della mia città e non solo. Mi erano giunte voci che in tutta Italia si stessero verificando quelle tristi usanze "popolari".


Entrammo nel mezzo della folla cercando di farci spazio per raggiungere il centro della piazza, ove si sarebbe consumato l'immane gesto. Giulio come un forsennato spingeva e quasi si scazzottava con quelle persone che non avevano alcuna intenzione di cedergli il "posto in platea" così agognato. Che ridicoli, pensai con ribrezzo. Mi misi proprio dietro il mio amico per sfruttare la sua dirompente forza d'urto: un metro e novantacinque per centoventi chilogrammi, era un armadio.
Riuscimmo con fatica a raggiungere il "palco", io, senza fiato e pieno di dolori mi poggiai un secondo con le mani sullo stesso, per cercar di riacquistare un minimo le forze. Giulio cercò subito di salire per liberare Stella ma le guardie lo fermarono immediatamente e con un colpo di scudo lo fecero ruzzolare in mezzo alla folla.
Lo aiutai ad alzarsi dopodichè rivolsi lo sguardo verso Stella: mi osservava, con gli occhi pieni di lacrime, bramosi d'aiuto. Le mani legate strette alle sue spalle avevano ormai un color porpora preoccupante, e tutto il corpo tremava senza sosta.
Ebbi l'impeto anch'io di issarmi sulle mie braccia e correre verso di lei ma subito frenai quel mio folle pensiero, che a nulla mi avrebbe portato oltre ad una rovinosa caduta sul pavè della piazza. Mi guardai in giro, la gente non accennava a placarsi, invocava a gran voce la morte di Stella ed io mi chiedevo quante persone in quella piazza la conoscessero realmente per ciò che era. Non potevo accettarlo. Non volevo accettarlo. Ma non sapevo che fare.


Poi mi accorsi che era stato acceso il ceppo con il quale sarebbe stato dato fuoco a quella sirena, e istantaneamente mi si fermò il respiro.
Rimasi in completo silenzio, inerme, ad osservare la scena mentre tutti attorno a me urlavano, sempre più forte, sempre senza senso.
Ed io ero in silenzio.
Giulio smise di dimenarsi dopo avermi osservato attentamente. Successivamente mi spiegò d'aver creduto che quel silenzio fosse dovuto allo sconforto ed alla rabbia generate nell'impossibilità di agire.
Si sbagliava.
Le cinque o sei persone attorno a me, quelle che mi erano praticamente adese al corpo, probabilmente nell'accorgersi del mio silenzio, si zittirono inaspettatamente. Ed intanto venne dato fuoco a Stella che urlava e si dimenava terribilmente: uno spettacolo agghiacciante. Terribile. Se avessero potuto sanguinare, i miei occhi lo avrebbero fatto.
E mentre ella ci abbandonava, mentre Eritreo inneggiava alla giustizia divina ed alla fantomatica edificante punizione per quell'eretica, il silenzio si spandeva attorno a me, a macchia d'olio: inesorabilmente, una dopo l'altra tutte quelle persone smettevano di urlare.
Seguivano la folla, seguivano la massa, come sempre, anche in quel caso.
Lentamente tutta la piazza si trovò ammutolita. E Stella non c'era più.
Eritreo si osservava stupito attorno.


Io presi per mano Giulio, e lo invitai a seguirmi. Decisi d'allontanarmi dal luogo del delitto. Dal posto in cui un'altra persona a me cara mi era stata portata via con la forza, spinta dal senno assurdo di quelle persone. Questa volta senza spintoni, senza dover far forza: la folla si allargava e faceva strada, inebetita dal nostro incomprensibile atteggiamento.
Stupiti, quasi sconvolti.
Quelle persone probabilmente non capirono mai quale fu la vera causa di quel silenzio, come fosse possibile che tutti si fossero immobilizzati nell'arco di un minuto o poco più.
Quel giorno sperai solo che , una volta giunti a casa quel senso di schifo, d'orrido, di ripugnanza verso loro stessi e ciò che erano, e che non ammettevano d'essere, li tormentasse per il resto dei loro giorni.


Perchè quel silenzio fu la loro ammissione.


Quel giorno, in quella piazza, non fu solo Stella a morire.






Andrea Bidin

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