Prove tecniche di autocommiserazione
Se ti chiedessi semplicemente cosa ti fa pensare l'osservare il paese sotto di noi, che cosa mi risponderesti?
La domanda mi sorge spontanea sinceramente. Guardo i tetti delle case che tutti i giorni ci possiedono senza chiedere nulla in cambio oltre a parte della nostra breve vita, ci proteggono dalle intemperie, dalle cieche stagioni, dai loschi figuri. Eppure provo repulsione verso questi «oggetti» che pagheremo per anni nella speranza d'avere la fortuna d'essere ancora vivi quando i nostri mutui saranno estinti.
Non trovi assurdo tutto questo?
E' come se vivessimo in funzione d'un qualcosa che forse non saremo nemmeno in grado di goderci quando finalmente l'assillo del lavoro, del doverci procacciare il denaro, del dovere ad ogni costo ci avranno abbandonato.
Prendi nostro padre per esempio. Ha lavorato una vita ed a distanza di pochi mesi dalla pensione un tumore maledetto le ha tolto la soddisfazione di godersi ciò per cui aveva sgobbato quotidianamente per decenni: la beffa conclusiva per una vita avara di vere emozioni, o forse più semplicemente dovrei dire «senza senso alcuno»?
Lo osservai con fare dubbioso, quel discorso mi affascinava dal momento che metteva in mostra aspetti della nostra vita sui quali non m'ero mai soffermato più di tanto, sicuramente non abbastanza da permettermi di riflettere su di essi.
Certo, Cristian pareva davvero un pesce fuor d'acqua nella società in cui vivevamo, la realtà di un piccolo borgo in cui ancora le persone venivano ricordate per il mestiere che facevano piuttosto che per i loro nomi di battesimo. Quel ragazzo così controcorrente, considerato un fannullone dalla maggior parte dei popolani, ai miei occhi appariva come una fonte inesauribile di chiarezza e speranza. Di una vita migliore. Di una vita che abbia un senso.
Non so davvero cos'altro dire, mi sento sfiancato e demoralizzato. Mi sembra di vivere per nulla. Se non esistesse questo monte, che possiede una funzione salvifica per me, per noi, non so proprio come farei a tirare avanti. Venir quassu a riflettere, a pensare, a far coincidere i ragionamenti di una settimana cercando di convogliarli in direzioni positive e proficue è quasi più faticoso dell'andare a lavoro tutti i giorni. Il mio corpo e la mia mente non riescono a reggere pure la domenica un'attività intellettuale così intensa e probante dal punto di vista fisico che, in perenne tensione, mi porta la domenica sera ad essere ancor più stanco della mattina.
Allo stesso tempo però non posso certo farne a meno. Questo rituale settimanale è una valvola di sfogo, una via di fuga dai problemi del mondo o, pensando in piccolo, le difficoltà che ogni giorno m'assillano.
Al sol pensiero di abbandonare questa routine per poter ricaricare le batterie in previsione della settimana lavorativa mi sento crollare, come catturato da una depressione intransigente che non ha nessuna intenzione di mollar la presa.
E dunque che devo fare? Come vedi il dilemma si palesa in tutta la sua proverbiale incoerenza: evitare di rilasciare le tensioni cercando unicamente di ricaricare le energie, oppure scaricare il tutto subendone la conseguente stanchezza?
Mi guardava seriamente, speranzoso di trovare in me una soluzione al suo quesito esistenziale. Purtroppo io non potevo certo aiutarlo, era lui la mia guida, non io la sua. Questo pensiero mi angustiava perchè veder il mio punto di riferimento vacillare di fronte a problemi che tutti ci troviamo ad affrontare ogni santo giorno mi faceva quasi credere d'aver sbagliato tutto in questi anni, di aver buttato tempo seguendo quel pazzoide, i suoi comportamenti, le sue vicissitudini, il suo stile di vita.
Avevo forse errato per tutto quel tempo?
In fondo pensare mi spinge a provare emozioni magari sopite da tempo, e di conseguenza finisco col soffrire inutilmente. Quelle vicende son magari passate da anni, perchè dovrei angustiarmene ancora?
Eppure anche in questo caso posso dir tranquillamente l'idea di smettere tutto questo è quantomeno risibile fin dal profondo del mio inconscio. Come potrei smettere di pensare, di ragionare, di pormi domande?
Che fine farei? Probabilmente m'ammazzerei per la disperazione.
Son davvero senza speranza.
All'improvviso suonò il cellulare. Era Marta che mi cercava. Ascoltando i deliri di Cristian avevo completamente perso la cognizione del tempo.
Che ore abbiamo fatto?
Le 9? Cavolo è tardissimo, dovremmo rincasare o le nostre mogli si preoccuperanno, che dici? Era Marta vero?
Abbiamo perso fin troppo tempo per oggi, è il caso di mettersi a far qualcosa di utile in casa, altrimenti chi la sentirà poi Chiara? Non ho le forze per affrontare una sua scenata sinceramente. Non questa sera.
Anzi.. a dire il vero, mai.
Non avevo sbagliato nulla. Lui era come me, come noi.
Certo non capirò mai come facesse a passare da uno stato d'angoscia ad uno di sconfortata accettazione nell'arco di pochi secondi!
Che fosse pazzo?
O forse ero io il matto a pormi questo tipo di problemi? Avrei dovuto accettarlo com'era senza farmi venire alcun dubbio in merito alle sue idee?
Si, era la soluzione più ovvia. Era davvero inutile che mi fasciassi la testa per comprenderlo fino a tal punto: ricevere ciò che poteva darmi senza aspettarmi nulla e pretendere che tutto avesse un senso era il modo migliore per affrontarlo e godere della sua particolare compagnia.
Mi voltai ed il mio sguardo incrociò il suo.
Stefano, non capisci davvero un cazzo, lo sai?
Aveva sempre avuto la straordinaria capacità di leggermi nel pensiero.
Prese dalla tasca le pillole che il suo dottore gli aveva prescritto. Ne prese un paio di fretta e furia dopodichè mi venne incontro per abbracciarmi.
Ti voglio bene, credimi! Perdonami se alle volte mi esprimo in maniera così rude con te. Siamo tutt'uno noi due, lo siam sempre stati e continueremo ad esserlo, non è vero?
E dette quelle parole si mise a piangere. Io lo strinsi forse a me per consolarlo.
Avrei dovuto dirgli di smetterla di complessarsi in quell'atroce maniera, ed anche di cambiar dottore:
quelle pillole per curare lo sdoppiamento di personalità evidentemente non facevano alcun tipo di effetto. Mi pareva evidente.
In caso contrario non sarei stato certo li, su quel monte, a parlar per più di due ore da solo con me stesso.
Andrea Bidin
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