7 settembre 2010

La Preghiera dei Carnefici



“Cosa vorresti dire con questo – tu – lurido figlio di puttana?”

Presi un lungo respiro prima di rispondere. Abbassai lentamente il capo, scuotendolo appena, come timidamente la sera fanno le fronde degli alberi allo spirare di un vento leggero. I miei fragili occhi si limitavano a fissare la birra nel bicchiere e le bollicine che salivano, salivano, salivano dirette verso il cielo, in un effimero ed eterno canto alcolico. Chissà, chissà cosa avrebbe detto, Chris. Chissà come sarebbe entrato nella conversazione, con il suo sorriso smagliante, i suoi occhi accesi come zaffiri splendenti, i suoi capelli corvini, il suo volto gentile e calmo. Chissà. Lui sapeva. Lui sapeva sempre cosa dire.

Lui sapeva amare tutti. Dare una chance. Una speranza.

Ma Chris se ne era andato. E non sarebbe tornato. Mai. E io non avevo l’altro che l’odio, nelle mie mani che un tempo stringevano l'intera speranza del mondo.

“Voglio dire” - spiccicai lentamente, mentre la mia lingua si impastava - “che è tutto inutile. Tutto.”

Un lungo e terribile attimo di silenzio. E le bollicine smisero di salire. Avrei voluto che questa armonia, questo rumore assordante fosse durato in eterno. Avrei ucciso – ancora – per questa incredibile pace agghiacciante; era la fontana per me - assetato e disperso nel deserto. Non è vero che dando al solitario una compagnia lo farete parlare senza sosta; anzi. Lo mettete a disagio, lo incattivite, lo umiliate, lo fate piangere, lo rendete goffo, brutto e fastidioso. Sputate sul quel poco di dignità che gli è rimasta, su quel brandello di anima che non ha ancora perduto.

“Ma sei scemo?!” – Bang. Tutto distrutto. Un’altra illusione in frantumi. Il Divenire: un’agonia senza fine.

Sorseggiai appena la birra.

“Ma guarda te. Sei proprio un figlio di puttana tu, lo sai? Prendi per il culo la gente che prega, la gente che si fa il culo a quattro, la gente che fa del bene. Guardati. Guardati! Sei qui a sparare sentenze sulla gente che lavora e ha una moglie, mentre tu non fai altro che grattarti il culo. Chi cazzo di credi di essere?”

Bella domanda. Chi ero io? Probabilmente ero davvero un figlio di puttana. Probabilmente non avevo diritto di giudicare. Ma io sapevo. Io sapevo. Non avevo nulla sulla vita di questo individuo medio, delle sue passioni, del suo lavoro, delle sue preferenze alimentari, politiche, sessuali, alcoliche; nulla. Ma io capivo, tutavia. E dunque, sapevo. Capivo - e sapevo - perché sono uno scrittore – e soprattutto perché sono un solitario. Ho visto milioni di spettacoli nella mia vita; ordalie di burattini danzanti e giudizi di morte e vita elargiti con prodiga mano. Io ho visto e ho imparato a mettere ordine in quei puzzle irrisolti della vita, a districare le reti del subconscio, a mettere ordine dove caos ed entropia imperano, a far dipendere ogni istinto da una scelta – fredda, asettica, volontaria. E quindi, so. E dato che so, non riesco a tacere, a fermare il gentile e mortale tratto della mia penna, a interrompere questa impietosa serie di colpi sulla tastiera.

Lo deluderò, non ha scampo. Non ho scampo. In questo momento, lui spera che io risponda con qualcosa che gli dia ragione (la ragione: inerzia della verità!), che chiuda la conversazione, che attesti la mia inferiorità. Inferiorità; un concetto buono per chi ha ancora delle certezze da vendere sul mercato. Io non avevo certezze; avevo solo stanchezza e ossa spezzate. Chris- lui sì -, lui avrebbe trovato una Terza Via. Un sorriso. Una scoperta. Una aurora. Ma io non ero Jack. Non avevo la sua speranza. Non avevo nemmeno l’odio, ora che ci pensavo davvero. Avevo solo una fredda indifferenza. E si mischiava a un silenzioso e pacato – quanto tagliente – disprezzo.

“Ascolta” – dissi lentamente, sempre fissando il bicchiere di vetro – “ma tu ci credi davvero a tutte queste fregnacce?”

Si irritò. Mi feci triste.

“Sì che ci credo, cazzo, ci credo, cazzo! E se non ci credi, come fai a non vedere il bene che c’è nell’umanità, LO SCOPO? Sembri un cazzo di adolescente che gioca a non rispettare le regole.”

Bevvi. In silenzio.

“Perché non rispondi? PERCHE’ TI OSTINI A NON PARLARE, coglione?!”

Adesso tutto il bar si era girato, e ci guardava – mi guardava – con ostilità. Alla gente fa paura la gente che parla. La gente che pensa e che ha idee. Fanno bene: noi intellettuali siamo dei fottuti carnefici. Siederemo in cima al mondo prevedendo il suo ruotare e ci sporcheremo le mani con il suo sangue. Mi alzai e pigramente mi diressi verso l’ingresso sorridendo, mentre quasi parevo fendere le pareti del locale.

“CHE CAZZO C’HAI DA RIDERE, COGLIONE?”

Mi voltai, sempre con il sorriso.

E cominciai ad urlare. Forte. Distinto. Impietoso.

“Pensavo. Pensavo a voi. Tu. Uomo. Voi, che non vi amate ma vi umiliate. Perdete il vostro tempo e il vostro Ego nell’adorazione a Qualcuno e portate quel poco di buono che avete fuori da voi stessi. Vi credete grandi; Credenti; Prescelti. Andate su automobili di classe e mentre vostra moglie prepara la cena si illude di vivere in un'Arcadia piena di affetto, ma il vostro non è Affetto, la vostra non è Vita. Non siete che viscidi vermi, e come bufali calpestate questa terra, spargendo dolore e sgomento a ogni vostro passo, corrompendo la terra dei vostri avi, terra che un tempo regalava meli e peschi e ora piange lacrime di cenere. Espellete dal vostro animo il dolore e la disperazione; vi accontentate di una felicità sbiadita, preferite un grigiore di piacere, un credere sicuro, una vita di assegni in bianco. Quello che commuove, voi lo trasformate in scherno. Quello che fa piangere, in debolezze. Elevate la vostra debolezza e la vostra impotenza perché il vostro livore e il vostro astio non conoscono requie; io lo leggo nei vostri occhi, lo leggo, questo freddo odio che nasce dal CONTEGNO! IL CONTEGNO! Un concetto buono per i figli di buona famiglia, per ripararsi dallo scandalo, dalle dita della disgrazia! E mentre preghi o hai fiducia in un Bene Superiore - nel tuo Contengo magari! - da qualche parte nel mondo c'è chi sta combattendo con spaventose carabine, con le mani incrociate sul petto, visi deturpati dalle granate e dalla rabbia, in preda alla fame, alla sete, alla pazzia. Questa è l’Umanità, divenuta Massa. E voi non siete singoli, ma vermi.”

Mi fermai. Li guardai. Tutti. Uno a uno.

“L’Umanità è morta. E voi - uomini singoli vermi - siete i complici e gli autori - di questo genocidio."

E la notte mi avvolse. Per l’ultima volta.

*******************************

Chris è a terra. Io accanto a lui. Mano levata che stringe una tanica di benzina. Scrosciare del liquido, che si abbatte violentemente sul cadavere, avvolgendo ogni sinuosità, abbracciandolo come un vestito elegante. Zippo che si apre e chiude.

Click

Click

Click

“Addio Chris, amico mio. Permettimi questo commiato da ragazzo; perché siamo ancora ragazzi, nostalgici di quel tempo dove i meli e i peschi erano il nostro mondo e la vita era il tuono all'orizzonte. Amavi troppo e sei morto per questo. Non ho il tuo ottimismo, amico mio. Lo sai. Non temere; tutti noi lotteremo serbando la fredda consapevolezza che è propria di chi non ha più nulla da perdere, di chi è certo della follia della propria lotta, si chi brucia di vita e di chi vive e morirà a occhi spalancati. Brinderò al tuo nome questa e ogni altra notte della vita che verrà, conscio che il momento più nero della notte è quello che precede l’alba; ma ora che il sole è esploso, l’alba è stata imprigionata (troppo scandalosa e struggente, dicevano loro) e quello che mi rimane non è che una lacrima che non ho il coraggio di versare. Ti prego, amico mio, lasciami quest’ultima parvenza di umanità. Dicevi che l’Umanità fa schifo e che nel Singolo trovi il Tesoro; perdonami, ma io vedo solo sacchi della spazzatura, ricolmi di merda e odio; figure di cartone. Solo figure di cartone; figure di cartone senza anima. Figure di cartone che hanno paura del proprio denaro e ammazzano. Figure di cartone che chiamano onore la loro violenza. Figure di cartone che terrorizzano per non essere terrorizzati. Figure di cartone che sparano a innocenti, ordinano esecuzioni, che costringono al silenzio, che avvelenano la terra dei propri padri, che fanno schiacciano la dignità di uomini incolpevoli. Anche io – come te – combatterò perché questa Gomorra cessi di essere tale, ma mi chiedo se capiranno; se sapranno smettere di implorare ciò che giunge loro di diritto, se sapranno amarsi. Sì. Noi pochi - noi banda di fratelli - siedere in cima al mondo. Noi scriveremo, bestemmieremo, scandalizzeremo, imprecheremo, faremo a pugni, piangeremo, rideremo, dormiremo senza ottenere riposo, passeremo notti insonni, danzeremo, ci siederemo, accuseremo, difenderemo. Vivremo; e tutto per questo sogno ineffabile; noi lottiamo per il sogno di una cosa. Ti approvo, amico mio: ci sporcheremo le mani con il sangue del mondo; e lui se ne fregherà. E noi con lui. Se si è intellettuali, si è sempre carnefici.

Un giorno, le nostre parole usciranno – prorompenti – dalle tombe e canzoneranno il mondo e il suo vivere, che noi abbiamo già visto, analizzato, sviscerato, deriso; e allora ci vedranno. E allora, si pentiranno. E allora, la stirpe dei carnefici si sarà estinta da lungo tempo.

Un solo augurio alla fine di questa patetica omelia, amico mio: possa ogni cosa bruciare in un unico istante, come il tuo corpo in questa fiamma, una fimma di convulso e irragionevole affetto. Perché questo è il meglio che possiamo augurarci. Io. Tu. Noi. Il Mondo.”

Zippo che cade.

Acceso.



Michele Dubini

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