27 luglio 2010

Il vento della memoria

Il vento, come un treno in corsa a pieno regime, trasportava la pioggia con violenza inaudita, mi avviluppò dentro la sua maestosità naturale bagnandomi dalla testa ai piedi.
Col viso grondante acqua cercai di fronte a me un qualche soggetto da focalizzare che mi potesse aiutare ad orientarmi, ma l'intensità del temporale, l'umidità enorme che da terra si sollevava andando a creare un'ostacolo quasi peggiore della nebbia novembrina, il buio della sera e la mancanza d'elittricità dovuta al fenomeno in atto erano difficoltà per me quasi insormontabili Mi feci forza appoggiandomi ai muri delle case che costeggiano il vicolo del paese, ma la strada realizzata con mattonelle d'inizio secolo ed il freddo pungente rendevano la mia camminata molto instabile ed insicura: dovetti aggrapparmi a davanzali e grondaie più volte per non perder l'equilibro mentre percorrevo il tratto finale in discesa. Riuscii fortunatamente a raggiungere una piccola piazza mal curata, con un paio di panchine bisognose di un qualsiasi tipo di manutenzione ed un monumento nel centro in onore dei compaesani caduti durante la seconda guerra mondiale. Quel momumento mi aveva sempre messo in grossa difficoltà, specie durante le giornate di commemorazione : da una parte il dolore delle famiglie dei caduti , che potevo solo immaginare, mi turbava oltremodo spingendomi a leggere a voce alta tutti i nomi di quegli eroi del tempo che fu e ad onorarli per quanto mi era possibile; per contro l'eventualità che quell'opera fosse stata realizzata più per propaganda ed immagine del politico di turno che per effettivo sentimeno commemorativo mi disgustava enormemente, e purtroppo per me questa seconda opzione era quasi sempre prevalente nella mia dubbiosa mente.
In quel momento comunque la situazione era già abbastanza complicata di suo, decisi così di non soffermarmi troppo sui miei pensieri e di proseguire; i minuti passavano lentamente ed io continuavo a vagare lungo le vie del paese, cercando una qualche forma di vita che potesse aiutarmi, offrirmi un riparo da quell'intemperia inaspettata e per nulla intenzionata a diminuire d'intensità, ma purtroppo tutto ciò che riuscivo a vedere erano luoghi bui, vuoti, senza vita; certo, l'ora tarda non era sicuramente propedeutica alla mia ricerca, ad ogni modo cercai di non abbattermi e proseguire.
Riuscii ad arrivare alla macchina di color nero che avevo parcheggiato poco distante dalla piazza del monumento e dopo aver disinserito l'allarme entrai chiudendo subito dietro di me la portiera per proteggermi dalla pioggia, inserii la chiave nel quadro e, dopo un lieve sussulto di vita, la macchina si spense. Meravigliato, sorpreso ed anche abbastanza stizzito, cercai di rimetterla in moto senza successo, mi guardai attorno per capire cosa diavolo stava succedendo e durante la mia affannosa ricerca lo sguardo si pose sulla radio accesa: "dannazione" esclamai in un impeto di rabbia incontrollata, colpendo con un pugno il volante. Non avevo dunque altra possibilità che uscire e proseguire a piedi, chiusi con nervosismo l'auto e cercai riparo sotto il pino che si trovava a pochi metri di distanza da dove mi trovavo. Mi guardai attorno e riuscii ad intravedere un bagliore provenire da una casa poco distante, un brivido di speranza percorse il mio corpo mentre con una spinta del braccio sul tronco del pino mi diedi lo slancio necessario per cominciare a correre il più velocemente possibile verso l'obbiettivo ma nel far ciò sentii una fitta dolorosa provenire dal braccio sinistro, voltai immediatamente lo sguardo su di esso e m'accorsi che un taglio lo percorreva in senso verticale dal polso all'inizio del gomito: non mi sembrò molto profondo complice anche il buio che mi circondava, ma il sangue continuava ad uscire copiosamente e solo a causa dell'agitazione non mi ero probabilmente accorto della ferita. Decisi di controllarmi da testa a piedi per evitare ulteriori brutte sorprese: i pantaloni erano anch'essi sporchi di sangue e strappati all'altezza del ginocchio destro, le scarpe erano slacciate, la camicia, sbottonata, era lacerata in più punti, come se avessi avuto un qualche tipo di collutazione poco tempo prima che però non riuscivo proprio a ricordare.
Sempre più spaesato dal susseguirsi degli eventi, decisi di non indugiare oltre e correre verso quel bagliore che supposi fosse emanato da una o più candele accese: dovevo assolutamente mettermi al riparo dal momento che ero tutto bagnato, sentivo freddo e la debolezza stava pian piano invadendo il mio fisico; riuscii a raggiungere il portone della casa e, dopo aver indugiato un momento pensando a che ora era ed all'ovvia possibilità che gli inquilini stessero dormendo, decisi di bussare con decisione. Dopo un minuto buono mi venne ad aprire una signora sui cinquant'anni tutta scompigliata, che dopo avermi posto qualche domanda decise di darmi fiducia aprendo la porta: fortunatamente mi fece entrare.
"Mi chiamo Anna" mi disse, con un tono ambiguo tra il terrorizzato e l'apprensivo: indubbiamente lo stato in cui mi trovavo non le faceva presagire nulla di buono, ciò nonostante mi fece accomodare in cucina e mi preparò un the caldo che bevvi tutto d'un fiato: l temporale era finito da dieci minuti buoni e la luce era tornata poco dopo il mio ingresso.
Tutto ciò avvenne nel più assoluto silenzio, quella donna tanto disponibile quanto misteriosa non spiccicava parola e ciò mi incuriosiva oltremodo, non riuscivo a capire perchè non fosse curiosa di sapere chi fossi e per di più il suo sguardo fisso su di me mi metteva in forte imbarazzo.
Voltai lo sguardo verso l'orologio appeso su una parete color bianco che aveva evidente bisogno d'una mano di vernice, molto probabilmente l'arte del cucinare l'aveva segnato in tutti quegli anni. Solo a quel punto Anna smise di fissarmi in silenzio e mi chiese come stavo. Le spiegai la corsa nella pioggia, della macchina con la batteria scarica, delle ferite sul corpo, tutto ciò che mi ricordavo... prima di questo era semplicemente il buio: ricordavo ciò che era accaduto il giorno prima, ricordavo il mio lavoro, mia moglie e tutto il resto, ma di quella sera non avevo praticamente memoria e non ne comprendevo la ragione.
Anna stranamente non si fece dubbi al riguardo ed anzi mi venne incontro per curarmi il taglio sul braccio che, una volta pulito, si mostrava molto più profondo di quel che mi era sembrato poco prima.
"Sembra una ferita da taglio, come se ti avessero colpito con un coltello o qualcosa del genere" disse preoccupata la signora mentre mi bendava il braccio con una garza sterilizzata, "ora però mi deve raccontare cosa le è accaduto" concluse.
Era una bella domanda, io non ricordavo nulla, i miei ricordi di quella sera iniziavano con quella corsa nella pioggia, non conoscevo il motivo di quella situazione, perchè mi trovassi li, da cosa stessi probabilmente fuggendo: mi sentivo solamente molto confuso, stanco, dolorante ed infreddolito.

Nel mentre sentimmo aprire la porta di casa: era il marito di Anna, Giacomo. Non mi era nuovo quel viso, e quando disse di aver visto la rissa al bar che mi vide coinvolto, finalmente ricordai dove lo avevo incontrato. Il marito raccontò a me e sua moglie di avermi visto in quel locale dove, dopo aver bevuto molto, venni "disturbato" da un ragazzo sulla trentina che si avvicinò a me e cominciò a schernirmi perchè non ero insieme a mia moglie, ironizzando su presunti flirt della mia consorte: a quel punto a quanto pare lo attaccai con violenza e , nella collutazione, riuscì ad armarsi con un coltello che raccolse dal bancone del bar ed a ferirmi sul braccio dopodichè, forse resosi conto di quanto appena fatto, si allontanò di corsa dal locale. Ferito e colpevole di rissa e danneggiamento volontario, venni cacciato a pedate dal barista del locale: cadendo in terra a quanto pare cozzai la testa col terreno e persi conoscenza per diversi minuti.
A quel punto Giacomo, che era anch'esso nel bar con amici, chiamò l'ambulanza ma poco prima che questa arrivasse a quanto pare mi ero già alzato e, dopo un attimo di esitazione, scappai di corsa verso la zona residenziale del paese.

Udendo il racconto rimasi sbigottito da quanto accaduto, mi domandai come fosse possibile che non mi ricordassi nulla di quanto accaduto! Anna invece non pareva meravigliata , forse perchè abituata a comportamenti simili tenuti dal marito; ma questa era solo una mia supposizione. Sicuramente l'alcol che avevo ingerito ed il colpo subito fuori dal bar mi avevano fatto perdere la memoria di quegli istanti.
Ad ogni modo non mi era chiaro il perchè fossi in quel bar da solo ed immaginai che mia moglie Francesca fosse l'unica in grado di soddisfare questa mia curiosità.
Ringraziai i gentili padroni di casa che mi offrirono tra l'altro un ombrello per tornare a casa. Ora che il paese era ben illuminato, potevo vedere i danni causati dal temporale: rami d'alberi spezzati in mezzo alla strada, cassonetti dell'immondizia ribaltati, macchine danneggiate da oggetti evidentemente portati dal vento: sembrava fosse passato un tornado.
Ripassai davanti al monumento commemorativa questa volta senza degnarlo d'attenzione: troppi erano i pensieri in testa per potermi permettere digressioni storiche di quel genere.

Giunsi a casa circa 15 minuti dopo, bussai vigorosamente alla porta, e quando Francesca venne ad aprirmi mi accolse con un pugno ben assestato subito sotto lo sterno, che mi tolse per diversi secondi il fiato.
"Hai anche il coraggio di presentarti qui?" Urlò con tutta la forza che aveva in corpo.
Ancora scosso dal colpo subito e sinceramente spaventato da quello sfogo, accennai a mia moglie di non ricordare cos'era accaduto: ella non mi credette ma, dalle sue urla, riuscii a comprendere qualcosa.
A quanto pare avevo avuto l’ennesima discussione lei legata al mio ed al suo lavoro.
Io e Francesca stavamo vivendo un momento difficile, non avevamo più rapporti da mesi e le mie difficoltà lavorative non mi mettevano certo nella condizione ideale per essere amorevole e passionale. Inoltre il divario tra i guadagni miei (miseri) e suoi (ottimi) la mettevano nella condizione di sentirsi in qualche modo giustificata nel lamentarsi per tutto o quasi, e di sentirsi come l’unica persona in grado di portare avanti la relazione. Era una situazione che odiavo e da mesi mi stava creando enormi problemi anche personali: ansia, preoccupazioni, nervosismo acuto, tutto concorreva a rendermi la vita quasi impossibile.

Una volta calmatasi nei modi ma non certo nei ragionamenti, riuscii a convincere Francesca del mio smarrimento: gli raccontati quanto accaduto al bar e successivamente. Udito ciò, con una certa difficoltà, non fu disposta comunque a descrivermi cos’era accaduto con lei quella sera, sostenendo fosse sufficiente quanto mi ricordavo per capire che il nostro rapporto non funzionava più. Io ero una persona che, nonostante le difficoltà dell’ultimo periodo, aveva come priorità la coppia, la famiglia, ed in genere faceva il possibile per non mancar mai d’attenzioni verso chi amava. Per contro lei era molto più arrivista e concreta, aveva in testa quasi esclusivamente la carriera ed apparivo da tempo ai suoi occhi come un fallito di prima scelta.
Dopo avermi detto poche altre parole comprensive di ingiurie, mi mise alla porta e chiese che le restituissi le chiavi di casa (che era intestata a lei), buttò quattro panni dentro la prima borsa che trovò nell’armadio, me la diede con forza nelle mani e mi spinse fuori di casa, dicendomi che era finita e che non dovevo farmi più vedere da lei.

E’ in quel momento, in piedi fuori dalla porta, con nulla in mano se non la borsa e le chiavi di una macchina inutilizzabile, che mi tornò in mente cos’era accaduto: a lavoro ero stato ripreso per mancanza d’attenzione e d’impegno, ed a nulla servirono le mie spiegazioni, mi misero comunque in aspettativa. Quando tornai a casa raccontai tutto alla mia ormai quasi ex moglie che andò su tutte le furie, mi accusò di non tenere a lei e ne approfittò per rivangare situazioni passate: calcò talmente la mano da mandarmi in bestia a tal punto da spingermi ad insultarla pesantemente ed uscire velocemente di casa imprecando e sbraitando. Fu per questo che mi diressi al bar e cominciai a bere alcol a volontà.

Un senso d’insoddisfazione e di sconforto invase il mio corpo da capo a piedi: mi sentii stanco di non esser compreso dalla compagna che diceva d’amarmi, stufo di fare un lavoro insoddisfacente e poco gratificante, esasperato dal dover sempre dimostrare d’essere all’altezza di mia moglie e dei suoi introiti , esacerbato dal vivere una vita senza soddisfazioni e sempre sul filo del rasoio.
Con un impeto d’orgoglio tirai la borsa contro il portone di casa e me ne tornai in strada. Ero ancora confuso da quanto accaduto , mi sembrava quasi d’essere in balia degli eventi. Fu in quel momento che realizzai una cosa che avrebbe cambiato il mio futuro: ero insoddisfatto della mia vita. Avevo capito di dover far qualcosa per cambiarla, per darle una sterzata decisiva, per permettermi di vivere più serenamente i miei giorni, con persone che davvero tenessero a me ed avessero a cuore ciò che facevo, pensavo, sentivo: compresi di non voler più stare così.
Presi la decisione di Francesca come un segno da non dimenticare. Tornai in strada e ripercorsi il vialetto in ciotoli che solo qualche ora prima mi aveva creato non pochi grattacapi, e giunsi di fronte al monumento ai caduti.

Come d’abitudine cominciai a leggere ad alta voce tutti i nomi dei compaesani immolatisi per la nostra libertà. Franco, stefano, roberto, giuliano.. erano eroi per me, dovevano esserlo per tutti, perché in una maniera o nell’altra lottarono per loro, per le famiglie d’appartenenza ed acquisite, per dare una svolta in meglio alla loro vita ed indirettamente alla nostra. Io, nel mio piccolo, sentivo di dover far altrettanto, e Franco, Stefano, Roberto, Giuliano.. e Mirko, ed Andrea, e Carlo, e tutti gli altri erano coloro che dovevano essermi d’esempio, ancora una volta.
Presi dalla tasca dei pantaloni un post-it che sul quale avevo annotato qualche giorno prima una piccola lista della spesa e mi ero scordato di avere ancora addosso. Strappai la parte scritta con le dita tenendomene un pezzetto pulito. Corsi in macchina a prendere una penna che lasciavo sempre nel cruscotto per ogni evenienza, e ci scrissi sopra il mio nome.

Tornai al monumento, guardai ancora una volta quella lista di persone meritevoli, mi inginocchia e posai il pezzo di post-it alla base, come a voler rendere omaggio a quelle persone, come non volendo mischiare le loro gesta con le mie puerili vicende. Mi rialzai e lessi gli ultimi nomi della lista.

Mirko
Andrea
Carlo
Giuseppe

La targhetta poco sotto recitava:
Questi nostri concittadini hanno combattuto per la libertà di tutti noi, hanno sacrificato la loro vita per un obbiettivo comune, una vita migliore, un mondo di pace. Questo monumento li vuole rappresentare, li vuole onorare, resisterà alle intemperie ed al tempo che scorrerà per ricordarli , renderli immortali nella nostra memoria, negli anni a venire.
Onore ai caduti

Alla base di questo monumento c’è ora un nome su un foglietto giallo.
"Questa persona si chiama Lorenzo, ha affrontato tante difficoltà e vissuto una vita difficile, non è riuscito a migliorarla come avrebbe desiderato.
Lui non vale nulla in confronto a voi, ma si è preso la libertà di mettersi ai vostri piedi, chiedendovi un poco di compassione e di stima.
Questa sera Lorenzo è caduto, ad affrontare il domani sarà una persona totalmente diversa , è il suo obbiettivo, il suo più grande desiderio.
Quest’uomo ha sacrificato se stesso per cercare una vita migliore, per se e per chi gli sarà affianco negli anni a venire. Non si paragonerà mai e poi mai a voi, ma anzi trarrà insegnamento dalle vostre vite e dalle vostre gesta.
Ed allora lasciatemelo dire: onore anche a Lorenzo. Onore ai caduti"

Spossato, mi sedetti sulla panchina che si trovava di fronte al monumento. Guardai il cielo ed un sorriso appena accennato illuminò il mio viso: la tempesta era passata, non pioveva più: si vedevano le stelle, ed una di esse rappresentava me, la mia scelta, la mia rinascita.

"Mi chiamo Lorenzo, e sono una persona nuova!" urlai con le ultime energie che avevo in corpo. Dopodichè gli occhi si chiusero, e mi addormentai.



Andrea Bidin

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