La brezza mattutina portava con se la carica vitale di unacittà già preda del proprio lavoro, del suo destino. Il sole invernale apparivapallido nonostante in cielo non vi fosse l’ombra di una nuvola. Amavo osservarefuori dalla finestra del mio appartamento quello spettacolo invero un po’malinconico messo in atto dai miei concittadini: l’ansia e la frenesiaimpostogli dal proprio lavoro mi dava un senso d’irrequietudine difficile dadescrivere.
Ed è strano dal momento che sono uno scrittore. Mi chiamoAndersen , e mi diletto nell’arte dello scrivere sin da ragazzo, quando scopriiquest’estro innato cominciando a scrivere una specie di diario personale in cuisfogavo le mie paure, la mia rabbia, le gioie che la vita mi stava regalando.
L’ispirazione mi coglieva in genere di sorpresa, quando menome lo aspettavo. Di conseguenza non avevo un iter lavorativo preciso , anche perchésenza quella spinta emotiva difficilmente riuscivo a creare opere di rilievo,almeno dal mio personale punto di vista e metro di giudizio.
Quella mattina non avevo assolutamente voglia di uscire, lastanchezza dovuta alle ore piccole fatte negli ultimi giorni a causa di alcunilibri acquistati il mese prima si facevano sentire sul mio fisico. Decisi cosìdi restare in casa e cercare all’interno di quel concentrato di ricordi unaqualche fonte d’illuminazione che potesse essermi utile. Ironicamente, fuproprio osservando fuori dalla finestra che raggiunsi l’obbiettivo.
………………………………………..
Le notti invernali sono terribili da vivere per strada,senza un tetto sulla testa che offra un minimo di riparo contro il freddo che attanagliain una morsa d’acciaio questa città. Non avevo voglia d’alzarmi e cercai dicoprirmi il viso dai raggi del sole con la mano, ma ormai era tardi: unpassante colpì involontariamente, o almeno questo mi auguro, la mia cosciadestra facendomi avere un sussulto di dolore. Nonostante le intenzioni dovettidunque svegliarmi del tutto ed accettare ancora una volta la povertà che non milasciava vivere. I miei compagni di zona se n’erano già andati, probabilmentein cerca di una colazione il più sostanziosa possibile: non era facile dalmomento che con il nuovo piano regolatore per i rifiuti emesso dal governo erasempre più difficile trovare qualcosa di commestibile vicino ai bidoni dell’immondizia.Era una situazione deprimente e preoccupante contro la quale la gente come medoveva per forza reagire in qualche maniera: ma senza denaro e nelle condizioniigieniche in cui vivevamo era quasi impossibile ricevere udienza da un sempliceignaro passante, figuriamoci dalle istituzioni.
Mi sollevai appoggiandomi alla parete in mattoni color legnoche mi dava le spalle, mi guardai un attimo attorno anche per svegliare il miocorpo intorpidito dallo scomodo giaciglio in cui avevo passato la notte. Decisid’incamminarmi verso il bar all’angolo intenzionato com’ero a metter qualcosanel mio stomaco affamato; mi soffermai sulle vetrine del locale ad osservare lagente tutta imbellettata far colazione in un clima di allegria espensieratezza. Avrei dovuto invidiare quel loro stato d’animo ed invece visorprenderò dicendovi che non era affatto così. L’unica cosa che desideravoavere era un pasto caldo, l’unica cosa reale e sincera che poteva far parte diquel bar: al suo interno tutte quelle persone erano ipocrisia allo stato puro,così gioviali tra loro ed allo stesso tempo così pronte ad azzannarsi gli unicon gli altri una volta entrati nei rispettivi uffici, luoghi ove regnava lalegge del più forte e le angherie erano all’ordine del giorni.
Mi decisi ad entrare dopo aver preso dalle tasche quei pochispiccioli di cui ero in possesso. Vedete, ero sì un barbone ma non un ladro,coglievo il cibo che trovavo per strada ma non andavo ad impossessarmeneindebitamente nei supermarket della zona, anche se alle volte quei prezziassurdamente alti mi avevano fatto cadere in forte tentazione. Oltrepassai laporta a vetri e quasi istantaneamente il locale si fece più silenzioso: occhiintimoriti, disgustati, intolleranti mi osservavano da ogni direzione, sguardiche giudicavano un uomo onesto entrato a far colazione in un bar.
Ho detto onesto. Quante di queste persone potrebberodefinirsi tali se non mentendo a loro stessi prima che a chi li circonda?
Cercai di accrescere la mia sicurezza con questi pensieri, d’altrondeero abituato al pregiudizio ed al dileggio gratuito, ma di certo non miaspettavo che i proprietari del locale, visibilmente imbarazzati, micostringessero ad uscire farfugliando scuse e motivazioni assurde.
Mi ritrovai sul ciglio del marciapiede, in fondo neanchetroppo inorridito dal comportamente che quelle persone avevano tenuto con me.
Proprio in quel mentre udii uno schianto. Voltai lo sguardo alla mia destra: un motociclista giaceva inerme sul ciglio della strada ,la moto distrutta si trovava a diversi metri da lui, il taxi con il quale aveva avuto la collisione si trovava fermo in mezzo alla strada col cofano danneggiato ed il fumo generato copiosamente dal motore.
La gente tutt’intorno era basita. Nessuno apparentemente sapeva cosa fare: una bambina scoppiò in lacrime tra le braccia della giovane madre. I negozianti uscirono a vedere da cosa diavolo era stato generato quel boato improvviso. Un passante era al telefono: probabilmente stava chiamando un’ambulanza, o almeno è quello che mi auguravo.
L'istinto prese a dominarmi quasi istantaneamente. Non ci pensai due volte. In men che non si dica stavo mettendo sul fianco il motociclista che mi pareva gravemente ferito, tutto insanguinato, probabilmente con diverse ossa rotte. Presentava lacerazioni sul viso e le braccia, non era cosciente. Lo misi pancia in su e cominciai subito a praticargli la respirazione bocca a bocca per cercare di salvarlo.
La gente tutt’intorno era sconvolta, qualcuno urlava, altri facevano commenti razzisti su di me, preoccupati forse che potessi passare qualche malattia. Poveri bastardi, quanto vi compatisco. Il taxista mi intimò di lasciarlo stare e levarmi dai coglioni, dal momento che non c’entravo nulla e non dovevo intromettermi col rischio di compromettere tutto. Come se già non fosse abbastanza nei guai: era passato col rosso in un incrocio affollatissimo ed ora la vita di un giovane era in grave pericolo. Idiota maledetto.
Continuai la respirazione e ricevetti un calcio sul costato da quell’essere spregevole, che pochi secondi dopo in preda al panico salì sul suo taxi fumante e si allontanò in fretta e furia dal luogo dell’incidente. Nessuno che abbia cercato di fermarlo. Nessuno che gli abbia detto qualcosa. Eppure son tutti molto bravi nel giudicarmi in malo modo. Carogne inutili.
Arrivarono due ambulanze ed i poliziotti che mi allontanarono sottolineando la gravitù della situazione e la necessità di far lavorare gli esperti del campo. Mi allontanarono spingendomi coi loro manganelli, senza neanche sfiorarmi con una mano: cosa credevano avessi, il colera? Cercai di spiegargli quant’era accaduto sfoggiando il miglior lessico del quale ero capace, ma non mi concessero udienza: solo qualche cittadino, mosso forse da una mortificante pietà, spiegò che io non c’entravo nulla ed effettivamente ero intervenuto in maniera tempestiva per cercar disalvare da morte certa il malcapitato.
Il motociclista venne portato in ospedale e non seppi più nulla di lui per diverso tempo. Il taxista, lessi su un giornale di qualche giorno dopo, era stato fermato pochi minuti dopo il suo tentativo di fuga edincolpato di omissione di soccorso e guida pericolosa: rischiava anni di galera ed una penale economica considerevole. Nell’articolo venivano elogiati ipoliziotti, i medici, tutti coloro che erano intervenuti, ma io non ero stato minimamente menzionato. Non riuscii a rimanerci troppo male, in fondo non l’avevo certo fatto per la notorietà: era più disgusto quello che provavo nei confronti di quel giornalista.
I giorni che seguirono furono molto duri. Non c’era gloria per il barbone che aveva praticamente salvato una vita, e fin qui potevo benissimo accettarlo. Era una condizione alla quale ero abituato: l'essere invisibile agli occhi della società. Ma non c’era neanche del cibo, e questo era invece un problema serio a cui dovevo porre rimedio il prima possibile.
Inaspettatamente un giorno il motociclista venne a cercarmi. Riconobbe il mio viso, quel viso che aveva visto affianco a lui quel giorno dell’incidente, quando riprese conoscenza e si rese conto che i suoi abiti inzuppati di sangue macchiavano la strada sul quale si trovava sdraiato. Mi raccontò i momenti successivi al suo “risveglio” ed io ero sinceramente felice: la respirazione che gli avevo applicato aveva dato i suoi frutti. La cosa mi sollevò per qualche secondo, facendomi per un attimo sentir fiero di ciò che avevo fatto.
Mi volle dare del denaro, che ovviamente rifiutai. Accettai invece l’offerta di pranzo assieme a lui, e degli indumenti puliti che si offri di regalarmi a tutti i costi. Il punto era che non volevo segni di riconoscenza e gratitudine che non comprendessero eventualmente dei semplici ringraziamenti verbali. Non desideravo far intendere di aver compiuto quel gesto per ottenere qualcosa in cambio: era stata la mia umanità a spingermi a farlo, l’unica umanità viva e rigogliosa presente in quel vicolo, colmo di anime corrotte dall’egoismo, dall’odio,dall’indifferenza e dal terrore del diverso.
Quando arrivò sera, il motociclista si propose ancora nei miei confronti con offerte di denaro e quant’altro, che ancora una volta rifiutai. Continuava a non comprendere, e mi chiese per quale motivo, oltre a quelli che gli avevo già spiegato, non accettavo il suo aiuto: in fondo erano giornate gelide, era una vita estremamente difficile la mia ai suoi occhi ingenui di ragazzo onesto.
Io lo osservai, le strinsi con vigore la mano, e lo ringrazia dell’offerta: a quel punto voltai le spalle e me ne andai in direzione del mio vicolo, della mia casa.
Non volevo l’aiuto di quel ragazzo, ed il perché era in realtà molto semplice. Quelle proposte di aiuto erano indubbiamente sostenute dal senso di riconoscenza ma anche da quello di colpa. Riconoscenza per ciò che avevo fatto. Senso di colpa per ciò che io ero se confrontato a lui. Il mio nulla rapportato al suo benessere metteva in risalto un divario troppo difficile e vergognoso da accettare anche per lui.
Ma visto che vi immagino abbastanza increduli di fronte a questi discorsi, vi domando: se non fosse accaduto quell’incidente, se quel ragazzo non avesse rischiato la vita ed io non fossi corso a salvarlo, si sarebbe proposto in quella a maniera? Se un giorno, passeggiando nel mio vicolo magari in un momento dedicato allo shopping mi avesse visto, mi avrebbe regalato anche una sola moneta per aiutarmi a tirare avanti un giorno in più?
Esatto. Non possiamo saperlo. Ma io nel mio nulla quotidiano ho fin troppo di cui preoccuparmi cari miei, come potete pretendere che possa farmi carico anche dei problemi esistenziali altrui? Per queste cose non rivolgetemi a me, esistono le religioni per aiutarvi a placare questi “terribili” stati d’animo, non è vero? Vi offrono in cambio della fedeltà assoluta ed anche di un discreto quantitativo di denaro quella pace interiore senza la quale non potreste vivere. Serenità a buon prezzo, in fondo si tratta di uno scambio conveniente, non vi pare?
Le anime corrotte non sono solo quelle che in quel vicolo,durante quei tragici momenti, mi stavano osservando. Siete tutti voi, ipocriti facenti parte di un mondo colmo di falsi ideali. Non conoscete pietà che non vi comporti un sollievo interiore. Non sapete cosa sia la riconoscenza vera, la realtà delle cose, la lealtà sincera. Vi affidate alle interpretazioni più assurde senza indagare a fondo per capire come possa realmente essere una persona, una qualsiasi persona, spoglia del vostro pregiudizio benevolo o malevolo che sia.
Mi fate schifo, per davvero.
Ora andatevene e lasciatemi in pace, in fondo sono un semplice nullatenente probabilmente malato, che spera nella morte come in un angelo che dal cielo verrà a liberarmi di queste sofferenze, un bacio eterno che mi permetterà di raggiungere lo stato di beatitudine che tanto desidero e mai in terrà otterrò. Non ho nulla da offrirvi, e nulla vorrei da voi, poveri stolti.
……………………………………….
Si esaurì l’inchiostro della penna che stavo utilizzando per scrivere, corsi subito nello sgabuzzino per cercarne altre funzionanti ma lamia ricerca non diede i risultati sperati.
Osservai quel breve manoscritto con insoddisfazione. Quella storia che la mia mente aveva partorito mi metteva in forte difficoltà. Quel giudizio finale del barbone mi lasciava sgomento.
“Se tutte le persone, come afferma, sono anime corrotte, io, che ho scritto questo breve racconto cercando di dare un’interpretazione realistica alla vita di un’altra persona, come posso definirmi?” pensai.
“Sono forse scevro dal pregiudizio, dal timore del diverso?” Ne dubitai immediatamente, e la constatazione mi tolse quasi il fiato per la vergogna.
Presi con foga le pagine che componevano quel manoscritto, corsi alla finestra e le gettai fuori dal mio appartamento, sperai, per sempre.
Eliminando la fonte del mio improvviso tormento immaginai di poterlo dimenticare più velocemente e ritrovare la serenità temporaneamente perduta.
Si, ero effettivamente un povero illuso.
…………………………………………
Passarono un paio di mesi, in quel periodo scrissi un piccolo romanzo cheebbe un discreto successo di vendite ed ottenni due nuovi contratti editoriali grazie ad esso. Ma dentro di me non riuscivo a cancellare il ricordo di quel breve manoscritto che gettai con la forza della disperazione da quella finestra.
Avevo per un attimo aperto gli occhi sulla realtà e mi aveva talmente terrorizzato da farmi fuggire da lei nell’arco di pochi minuti. Mi recai verso la finestra per osservare la strada sottostante: pioveva a dirotto e cercavo di immaginare come il barbone della mia fantasia avrebbe potuto sopravvivere ad un inverno così rigido e piovoso.
In quel mentre suonò il citofono. Era il custode, mi disse che c’erano dei documenti per me e che sarei dovuto scendere a ritirarli in portineria.
Presi l’ascensore svogliatamente, annoiato ed anche un po’infastidito da quella semplice ed irrisoria novità mattutina. Raccolsi la busta a me destinata e tornai in casa: la buttai con noncuranza sulla poltrona adiacente al tavolo del salotto, quell’oggetto d’arredamento che spesso utilizzavo per rilassarmi nei pomeriggi oziosi della mia vita. Tornai alla finestra a cercare la nota ispirazione ma, nonostante l’impegno e la volontà,non riuscii a concludere nulla di soddisfacente.
Mi voltai verso la poltrona, la busta giaceva inerme su di essa. Mi decisi ad aprirla.
Era il manoscritto.
I miei occhi non potevano credere a ciò che stavano osservando, quella realtà che avevo rifiutato mi era stata riconsegnata nelle mani, come a volermi costringere ad accettarla e farla mia.
Era incredibile ma stavo trascurando un particolare che la sorpresa dettata dalla circostanza non mi permetteva in quel momento di focalizzare. Osservai dopo qualche minuto con attenzione quei fogli sgualciti ed inumiditi, c’era scritto qualcos’altro alla fine di quel breve racconto, e la calligrafia non era la mia.
Era incerta, tremolante, l’avrei potuta definire quasi esistante. Mi avvicinai alla prima lampada che avevo a portata di mano e cercai di decifrare quelle frasi.
“Questi fogli mi son piovuti dal cielo una mattina di un paio di mesi fa, e da allora li ho tenuti con estrema cura. In qualche maniera posso dire di essermici affezionato. Ora ho deciso di riconsegnarteli , avendo letto l’intestazione che avevi scritto, con l’indirizzo e tutto il resto.
Perdonami se ho scritto su di essi, probabilmente ti costringerò a riscriverli tutti per questo, ma devo dirtelo: Andersen (ti chiami così vero?) non esser così negativo e duro con la società che ti circonda. Nel tuo racconto ho percepito accuse verso il prossimo a profusione, e la cosa mi ha turbato oltremodo.Effettivamente la realtà non è come ce la dipingono in televisione, ed io ne sono probabilmente il testimone vivente: ma in giro ci sono comunque delle persone oneste che non fanno mancare l’aiuto a chi ne ha più bisogno, senza scopo di lucro, senza obbiettivi di gloria ed eterna riconoscenza. Queste persone lo fanno semplicemente perché, prendendo spunto dal tuo scritto,secondo me non sono “corrotte”, ma intelligenti ed oneste con loro stesse.
Sia chiaro, non voglio passar per il predicatore che non sono, e nemmeno far la morale obbligatoria a qualcuno, figuriamoci ad una persona che col suo lavoro mi ha regalato qualche minuto di tranquillità.
Ma permettimi di presentarmi: mi chiamo Clark, ero un impiegato per una grossa ditta dolciaria della zona. Anni fa persi il mio lavoro e la mia famiglia a causa della mia dipendenza dalla cocaina, che tutt’ora fatico a tenere a freno. Vivo per strada cibandomi di ciò che trovo in giro e chiedendo l’elemosina tutti i santi giorni. Dio solo sa quanto far ciò mi imbarazzi e mi faccia sentire uno schifo. Da devo sopravvivere in qualche maniera. La causa dei miei problemi son stato io stesso, e non accuso nessuno per ciò che ho passato. Non ho anime corrotte da calunniare né infamare: me la prendo con me stesso ed accetto la realtà per quella che è.
Anche io come il tuo barbone del racconto credo di essere gravemente malato, ed anche io non vedo l’ora che l’angelo della morte venga a portarmi via, a liberarmi dei problemi, delle sofferenze, dei pensieri che mi tormentano da anni.
Eppure, a differenza di lui, io un momento di serenità son riuscito a viverlo dopo anni di pene interiori ed esteriori. Leggendo il tuo lavoro. Perché il mondo è pieno d’ipocrisia, di falsi ideali, di pietà col tornaconto. Ma spero con tutto il cuore che almeno in una cosa il barbone della storia si sbagli. Quando parla del “l’osservare la realtà delle cose”. Perché forse ora, leggendo queste mie parole, riuscirai ad avere una visione un minimo più completa del mondo che ti circonda. Magari otterrai la spinta necessaria ad approfondire la conoscenza delle persone che ti circondano, dei loro stati d’animo, del perché di quei loro atteggiamenti così variegati e spesso incomprensibili. Avrai forse la possibilità di vederla per davvero, questa piccola porzione di realtà.
Certo, sarà sempre poco rispetto a ciò che potremmo fare, che dovremmo fare: ma in fondo facciamo tutti schifo. Come sostiene il protagonistadella tua storia. Che poi rappresenta in un certo senso il tuo pensiero.
Ed avete ragione entrambi , io per primo faccio schifo.
Eppure nel prossimo voglio ancora crederci.
Ed in questo momento, quel prossimo cui mi riferisco sei anche tu.
Te lo dico col cuore in mano, amico mio, non indugiare più.
Apri gli occhi.
Andrea Bidin
Nessun commento:
Posta un commento
lo staff di laveritafamale ti ringrazia infinitamente per il tempo concessogli